TUTELE CONTRO IL LICENZIAMENTO “POST FORNERO”, TRA GIUDICE DEL LAVORO E TRIBUNALE FALLIMENTARE – Corte di Cassazione n. 16443 del 21 giugno 2018 – Pres. Est. Dott. A. Patti

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In tema di indennità risarcitoria ex art. 18 st. lav., come novellato dall’ art. 1, comma 42, della l. 92 del 2012, qualora risulti l’interesse del lavoratore all’accertamento del diritto di credito risarcitorio, in via non meramente strumentale alla partecipazione al concorso nella procedura di amministrazione straordinaria bensì alla tutela della propria posizione all’interno dell’impresa, spetta al giudice del lavoro la cognizione delle domande di impugnazione del licenziamento, di reintegrazione nel posto di lavoro e di accertamento dell’entità dell’indennità risarcitoria.

Fallimento ed altre procedure concorsuali – Amministrazione straordinaria – Indennità risarcitoria ex art. 18 Stat. lav. – Giudice del lavoro e Tribunale fallimentare – Riparto – Criteri.

Chi scrive, nel recente articolo “Verso un Diritto del lavoro per le imprese in crisi? Novità e contraddizioni nella legislazione e nella giurisprudenza”, pubblicato sulla rivista Lavoro e Previdenza Oggi (fasc. 3 – 4), aveva auspicato – rispetto alla questione (definita da Cass. 16867/2011 come “litis ingressum impediens”) dell’ambito di cognizione del Giudice del Lavoro e del Tribunale fallimentare nella specifica ipotesi di impugnativa, da parte del lavoratore, del licenziamento ritenuto nullo, annullabile o illegittimo, nei confronti di un datore di lavoro poi assoggettato ad una procedura concorsuale e la conseguente applicazione delle tutele previste dal novellato art. 18 Stat. Lav. (post Fornero) – “che la Giurisprudenza e il Legislatore riflettano al fine di offrire soluzioni ermeneutiche che tengano conto delle incongruenze che emergono nella normativa e dalla prassi applicativa, nell’ambito di un sistema in cui, forse, la par conditio creditorum deve “cedere il passo” a soluzioni di logica pratica o di ragionevolezza”.

Infatti, il tema generale, riguardante la vis attractiva del Giudice fallimentare nei confronti delle controversie aventi ad oggetto crediti di lavoro, non costituisce (almeno sino al recente pronunciamento) momento di incontro tra la sfera lavoristica e quella fallimentare ma solo ulteriore conferma della tradizionale visione del diritto della crisi d’impresa, “polarizzato” principalmente sulle questioni patrimoniali, senza particolare considerazione delle esigenze di tutela del lavoratore, la cui specifica posizione di debolezza e la rilevanza dei diritti sono alla base del rito del lavoro.

Invece, la sentenza in commento si segnala perché sembra proprio aver colto l’importanza e l’attualità dei risvolti lavoristici della crisi d’impresa e la volontà di sciogliere un nodo interpretativo ancora irrisolto, a causa della tradizionale e reciproca indifferenza, da parte del Legislatore concorsuale e lavorista, verso le esigenze occupazionali e creditorie coinvolte nel dissesto finanziario di un complesso produttivo (nel caso di specie particolarmente rilevante, trattandosi dell’Ilva di Taranto).

Essa, in particolare, si propone di offrire una soluzione ermeneutica alla delicata questione dell’individuazione del Giudice chiamato a conoscere la domanda volta ad ottenere l’applicazione della tutela risarcitoria (e non quella di illegittimità del licenziamento e di tutela reintegratoria), così come prevista nel regime introdotto dall’art. 18 della L. n. 300 del 1970, novellato dalla L. art. 1, comma 42 della l. n. 92 del 2012, (cd. “legge Fornero”).

Per giurisprudenza ormai consolidata, il Giudice del lavoro – quale giudice del rapporto (essenzialmente radicato nei principi affermati dagli artt. 4, 35, 36 e 37 Cost.) – conosce tutte le questioni volte all’accertamento della sua esistenza, della sua corretta qualificazione, di corrispondenza delle mansioni ai livelli professionali, di validità o invalidità della cessazione del rapporto di lavoro, anche conseguente all’accertamento di nullità, invalidità o inefficacia di atti di cessione di ramo d’azienda, in funzione del ripristino del rapporto di lavoro con la parte cedente, in caso di fallimento della cessionaria (Cass. 23 gennaio 2018, n. 1646), insomma, accertamenti riguardanti lo status di lavoratore.

Mentre, al Giudice fallimentare – quale giudice del concorso – spetta l’accertamento e la qualificazione dei crediti derivanti dal rapporto di lavoro, in funzione di partecipazione al concorso e ammissione al passivo (da ultimo: Cass. 16 ottobre 2017, n. 24363 e Cass. 30 marzo 2018, n. 7990).

Tanto accertato, la Corte si occupa di esaminare a quale dei due giudici (del lavoro o fallimentare) spetti la cognizione della domanda risarcitoria, proposta dal lavoratore, consequenziale a quelle di accertamento di illegittimità del licenziamento e reintegratoria nel posto di lavoro.

In particolare, come noto, la riforma suddetta ha articolato il giudizio davanti al Giudice del lavoro in due fasi, dando rilevanza, in primo luogo, alla qualificazione della fattispecie e, in secondo luogo alla sanzione applicabile (reintegratoria ovvero risarcitoria).

Conseguentemente, come osserva la Corte, l’articolazione dell’art. 18 Stat. Lav. ha comportato il passaggio da un’automatica applicazione (nel vigore del precedente testo della L. n. 300 del 1970, art. 18 per ogni ipotesi di illegittimità del licenziamento) della tutela reintegratoria e risarcitoria in misura predeterminabile con certezza (pari al periodo di maturazione dalla data di licenziamento a quella di effettiva reintegrazione dell’ultima retribuzione globale di fatto) “ad un’applicazione selettiva, in esito alla scansione delle due diverse fasi di qualificazione della fattispecie (di accertamento di legittimità o illegittimità del licenziamento intimato e della sua natura) e di scelta della sanzione applicabile (reintegratoria e risarcitoria ovvero soltanto risarcitoria), con sua diversa commisurazione (se in misura cd. “piena” o “forte”, ovvero “attenuata” o “debole”), assolutamente inedita”.

Il radicale mutamento del regime selettivo e di commisurazione delle tutele illustrato non può non riverberare effetti anche sulla ripartizione cognitoria delle diverse domande.

Sicché, per una coerente riconduzione anche del profilo risarcitorio da ultimo esaminato all’indiscussa premessa di individuazione nel giudice del lavoro del giudice del rapporto e nel giudice fallimentare del giudice del concorso con le naturali conseguenze tratte, la Corte conclude affermando che “anche l’accertamento (ed esso solo) dell’entità dell’indennità risarcitoria spetti al giudice del lavoroAl giudice del lavoro resta ovviamente inibita la pronuncia di condanna. E ciò in quanto, come più sopra argomentato, non si tratta di domanda di condanna ad un pagamento, bensì, per effetto dell’apertura della procedura concorsuale, di insinuazione allo stato passivo fallimentare, nella cognizione esclusiva del giudice fallimentare (artt. 52, 93 ss. L. Fall.: richiamati dal D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 53 e D.L. n. 347 del 2003, art. 4ter, conv. con mod. n L. n. 3 del 2004)”

Dal punto di vista pratico, tale conclusione comporterebbe che la domanda di insinuazione del lavoratore ben potrebbe essere ammessa allo stato passivo della procedura concorsuale con riserva, alla stregua di credito condizionale a norma dell’art. 55, comma 3 L. Fall., fino all’esito del giudizio davanti al giudice del lavoro, cui spetta la cognizione delle domande suddette: così da consentire al creditore la partecipazione al riparto mediante accantonamento (Cass. s.u. 16 maggio 2008, n. 12371; Cass. 31 luglio 2017, n. 19017).

Infine, i Giudici di legittimità, ha accolto il ricorso del lavoratore, inviando alla Corte d’appello di Bari.

*Avv. Serena Mancini

** Di prossima pubblicazione su “Lavoro e previdenza oggi” (www.lpo.it)

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