TRA NAZIONALITA’ DELL’ASSOCIAZIONE SINDACALE E NOZIONE DI RAPPRESENTATIVITA’ NEL PUBBLICO IMPIEGO PRIVATIZZATO – Corte di Cassazione, sez. lav., n. 14402 del 5 giugno 2018, est. Blasutto

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Nel pubblico impiego contrattualizzato, il carattere nazionale dell’associazione sindacale legittimata all’azione ex art. 28 della legge n. 300 del 1970 (Statuto dei lavoratori) non può essere escluso per quelle organizzazioni sindacali cui l’ARAN abbia riconosciuto la rappresentatività a livello nazionale ex art. 43, comma 1, D.Lgs. n. 165 del 2001

Condotta antisindacale – Legittimazione attiva – Nazionalità dell’associazione sindacale – Legittimazione alla contrattazione collettiva di comparto – Valutazione della rappresentatività da parte dell’ARAN – Sussistenza

Art. 28, L. n. 300/1970 – Art. 6, co. 2, CCNL Agenzie fiscali – Art. 43, co. 1 e 7, D.lgs. n. 165/2001

La Cassazione, con la sentenza in commento, ha affrontato ancora una volta il tema del “riconoscimento del carattere nazionale dell’associazione sindacale legittimata all’azione ex art. 28 Stat. Lav.” e, quindi, dei criteri attraverso i quali poter individuare quella “rappresentatività” che consente al sindacato di accedere alle tutele offerte dal procedimento per la repressione della condotta antisindacale.

In particolare, la Suprema Corte si è trovata a decidere il ricorso di due sigle sindacali del settore pubblico (il Coordinamento Territoriale FLP – Federazione Lavoratori Pubblici e l’USAPI-FLP – Unione Sindacati Agenzie e Pubblico Impiego) che avevano perso entrambi i gradi di giudizio precedenti in quanto non erano state ritenute in possesso del requisito della loro effettiva diffusione a livello nazionale.

I due sindacati in questione avevano adito il Tribunale del lavoro di Napoli per sentire dichiarare l’antisindacalità della condotta posta in essere nei loro confronti da parte dell’Agenzia del Demanio che, nel trasferire dieci lavoratori per mobilità in soprannumero presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze (tra cui anche il segretario generale dell’USAFI-FLP), aveva violato gli obblighi di informativa e consultazione sindacale di cui all’art. 6, comma 2, CCNL Agenzie fiscali all’epoca vigente e non aveva acquisito il preventivo nulla osta necessario per disporre il trasferimento del rappresentante sindacale.

Il Tribunale aveva dichiarato inammissibile il ricorso e, in sede di opposizione, aveva confermato tale decisione, così come la Corte d’appello di Napoli che, a sostegno della sua pronuncia, evidenziava che: il requisito del carattere nazionale del sindacato, che consente a quest’ultimo di ricorrere al procedimento ex art. 28, Stat. Lav., “nulla ha in comune con quello operante ai fini della costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali ex art. 19, Stat. Lav., …; la sottoscrizione di contratti collettivi può costituire prova tipica, ma non esclusiva del requisito della nazionalità del Sindacato; lo statuto della FLP stabilisce che gli organi e le strutture della federazione si dividono in nazionali e territoriali e fra questi ultimi rientra il Coordinamento Territoriale FLP, che dunque costituisce un’articolazione periferica di una federazione; il carattere nazionale non si desume dallo Statuto di FLP, le cui previsioni non forniscono elementi interpretativi significativi; la FLP è stata in grado di documentare unicamente la partecipazione ad un contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al solo comparto delle Agenzie fiscali, nonché un contratto collettivo nazionale quadro, avente ad oggetto esclusivamente la materia dei permessi, distacchi e prerogative sindacali”.

Invece, la Cassazione ha accolto il ricorso delle associazioni sindacali, affermando che, nell’indagine sul carattere nazionale del sindacato legittimato all’azione ex art. 28, Stat. Lav., “non assume decisivo rilievo il mero dato formale dello statuto dell’associazione, quanto piuttosto la capacità di contrarre con la parte datoriale accordi o contratti collettivi che trovino applicazione in tutto il territorio nazionale in riferimento al settore produttivo al quale appartiene l’azienda nei confronti della quale il sindacato intenda promuovere il procedimento e attestino un generale e diffuso collegamento del sindacato con il contesto socio-economico dell’intero paese, di cui la concreta ed effettiva organizzazione territoriale si configura quale elemento di riscontro del suo carattere nazionale piuttosto che come elemento condizionante (Cass. n. 5209 del 2010)”.

Conseguentemente e condivisibilmente, dunque, secondo la Suprema Corte, l’aver ricevuto, da parte dell’FLP (come era stato ampiamente confermato nel corso del giudizio), la convocazione dell’ARAN per la partecipazione alla contrattazione di comparto, ovvero alla stipulazione di contratti collettivi che trovano applicazione in tutto il territorio nazionale, implica “l’avvenuto riconoscimento della diffusione del sindacato a livello nazionale”.

Del resto, a tale conclusione doveva giungersi anche in considerazione del disposto di cui all’art. 43, comma 1, D.Lgs. n. 165/2001, ai sensi del quale l’ARAN ammette alla contrattazione collettiva le organizzazioni sindacali che vantano nel comparto o nell’area una rappresentatività non inferiore al 5%. Rappresentatività che risulta dalla media del dato associativo e di quello elettorale, i quali ben possono essere valutati dall’ARAN poiché è proprio quest’ultima che, secondo il settimo comma dell’art. 43 cit., assicura la raccolta dei dati relativi alle deleghe e ai voti espressi in sede di elezioni delle rappresentanze unitarie del personale.

Infine, si segnala che la Cassazione ha accolto il ricorso sulla base del n. 5 del comma 1 dell’art. 360 c.p.c., ritenendo che la Corte napoletana aveva omesso l’esame di un fatto storico – la cui esistenza risultava dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che aveva costituito oggetto di discussione tra le parti – idoneo a determinare un esito diverso della controversia (cfr., Cass., Sez. Un., n. 8053 del 2014). In effetti, nel giudizio, era stato provato che la FLP era stata convocata dall’ARAN (e che, peraltro, aveva anche sottoscritto i contratti collettivi del comparto Agenzie fiscali).

In conclusione, si constata che, dopo circa cinquanta anni di applicazione dell’art. 28, Stat. Lav., ancora si discute nelle aule di giustizia sul requisito della nazionalità che deve possedere l’associazione sindacale per essere legittimata ad agire per la repressione della condotta antisindacale. In tal modo, l’art. 28, cit., che già in passato ha costituito il “pilastro” della effettività del diritto sindacale post statutario, si conferma ancora oggi significativa “antenna” dell’esperienza sindacale, dei conflitti collettivi e, per quanto qui specificamente interessa, del pluralismo sindacale.

*Avv. Raffaele Del Gaudio

* Di prossima pubblicazione su “Lavoro e previdenza oggi” (www.lpo.it)

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