RIFORMA PENSIONISTICA FORNERO E PROSECUZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO: LIBERTA’ DI FORME DEL CONSENSO DATORIALE ALLA PROSECUZIONE DELL’ATTIVITA’ LAVORATIVA SINO AL SETTANTESIMO ANNO DI ETA’ – Tribunale di Roma, Sezione Lavoro, 6 ottobre 2015, n. 8437, est. Sordi

martello microfoni

Riforma pensionistica c.d. “Fornero” e diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro sino al settantesimo anno di età: il Tribunale di Roma, alla luce del principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 17589 del 2015, si è pronunciato in merito alle condizioni che, se accertate, potrebbero far ritenere concluso uno specifico accordo alla prosecuzione del rapporto di lavoro ai sensi e per gli effetti dell’art. 24, comma 4, del d.l. n. 201 del 2011, convertito con modificazioni in legge n. 214 del 2011.

Licenziamento – Età pensionabile – Prosecuzione del rapporto – Applicabilità art. 24, comma 4, d.l. n. 201/2011 – Diritto potestativo – Infondatezza – Accordo tra dipendente e datore di lavoro – Accettazione per fatti concludenti – Ammissibilità
art. 24, comma 4, d.lgs. n. 201/2011 – art. 18, comma 4, l. n. 300/1970
Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 8437 del 6 ottobre 2015, si è pronunciato sulle condizioni al verificarsi delle quali può ritenersi concluso tra il lavoratore sessantacinquenne ed il datore di lavoro un accordo per la prosecuzione dell’attività lavorativa sino al settantesimo anno di età ex art. 24, comma 4, del d.l. n. 201 del 2011, convertito con modificazioni in legge n. 214 del 2011. Pronuncia, questa, resa a solo un mese di distanza dal deposito della sentenza n. 17589 del 2015 delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione che sembrava aver dettato un punto fermo sulla vicenda.
A tal proposito, giova ricordare che il Supremo Collegio, nel dirimere il contrasto giurisprudenziale formatosi in seno ai Tribunali ed alle Corti del merito italiani sull’interpretazione dell’art. 24, comma 4, ult. cit., poi giunto dinnanzi alle Sezioni Semplici della Suprema Corte, ebbe, con riguardo al caso di un dipendente giornalista licenziato per aver conseguito i 65 anni di età, a disattendere la tesi esposta dal lavoratore sin dalla fase sommaria del primo grado di giudizio e, per l’effetto, ad enunciare il seguente principio di diritto: “la disposizione dell’art. 24, c. 4, dello stesso d.l. 6.12.11 n. 201, conv. dalla l. 22.12.11 n. 214, non attribuisce al lavoratore il diritto potestativo di proseguire nel rapporto di lavoro fino al raggiungimento del settantesimo anno di età, in quanto la norma non crea alcun automatismo ma solo prefigura la formulazione di condizioni previdenziali che costituiscano incentivo alla prosecuzione dello stesso rapporto per un lasso di tempo che può estendersi fino a settanta anni”.
Sennonché, il caso specifico sottoposto all’attenzione del Tribunale romano sembrerebbe collocarsi in una vera e propria «zona d’ombra» non illuminata dal suesposto principio di diritto e, quindi, sembrerebbe distinguersi dalla fattispecie esaminata dalla Suprema Corte nella parte in cui il datore di lavoro, nota Società Radiotelevisiva, “avrebbe manifestato, seppur implicitamente, il proprio consenso alla prosecuzione del rapporto di lavoro”.
Ciò, peraltro, a fronte, per un verso, di una richiesta avanzata prima del compimento del requisito anagrafico dei 65 anni di età che, ai sensi dell’art. 33 del Contratto Nazionale di Lavoro Giornalistico (CNLG), legittima la Società datrice di lavoro a recedere dal contratto individuale. E, per altro verso, di ciò che il dipendente avrebbe “continuato a lavorare per i successivi 16 mesi, ben oltre il raggiungimento dell’età pensionabile”.
Pertanto, premesso che l’art. 24, comma 4, del d.l. n. 201 del 2011, ancorché richieda, ai fini della prosecuzione del rapporto, il consenso del datore di lavoro, non richiede, tuttavia, che tale consenso debba essere espresso “in forme sacramentali”, ben potrebbe trovare applicazione, anche in questa peculiare ipotesi, “il principio generale di libertà di forma (1350 c.c.)”, cosicché l’accordo ex art. 24, comma 4, ult. cit. possa perfezionarsi persino mediante facta concludentia.
Anzi, proseguiva il Giudice romano, la sopra ricordata norma di legge presupporrebbe “un vero e proprio onere del datore di lavoro di manifestare il proprio dissenso tempestivamente ossia prima del raggiungimento dell’indicato limite d’età”. E ciò, seguendo l’iter logico giuridico riportato nella motivazione di cui alla sentenza in commento, a maggior ragione ove il dipendente sia stato tacitamente ammesso alla prosecuzione della propria attività lavorativa ben oltre il limite dei 65 anni di età ex art. 33 CNLG, sia pure per un lasso di tempo contenuto.
Peraltro, concludeva il Tribunale di Roma, nel corso della prosecuzione dell’attività lavorativa – che, ancorché tacitamente tollerata, fa pur sempre seguito ad un’espressa richiesta in tal senso del dipendente – deve trovare applicazione il regime di tutele previsto dall’art. 18 della legge n. 300 del 1970 e successive modificazioni. Precisamente, troverebbe applicazione il quarto comma del citato art. 18, posto che mancherebbe il «fatto» che ha determinato il licenziamento impugnato, da intendersi come la possibilità di configurare un diritto del datore di lavoro al recesso “ad nutum” per il solo fatto di aver il dipendente raggiunto i 65 anni di età.

Francesco Marasco

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