REQUISITI DI VALIDITA’ DEL CONFERIMENTO DI INCARICO DIRIGENZIALE ESTERNO NEL PUBBLICO IMPIEGO – Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale Lombardia, 22 giungo 2017 n. 91, Pres. Di Salvo, Est. Tenore

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L’art. 19, co. 6, D.Lgs. n.165/2001, che regola il conferimento di incarichi dirigenziali esterni nel pubblico impiego, è direttamente applicabile agli enti locali e territoriali (Regioni, enti locali ed “enti satellite” di detti soggetti pubblici) anche nel periodo anteriore alle modifiche introdotte dal D.Lgs. n.150/2009, in quanto riconducibile alla voce “ordinamento civile” di cui all’art. 117, co.2, lett. l, Cost.; la deroga alla regola del pubblico concorso presuppone l’assenza di professionalità interne all’ente conferente e la motivata selezione “paraconcorsuale” del candidato prescelto; è connotata da stringenti requisiti procedurali e culturali-professionali soggetti a penetrante controllo giudiziale, che non integra sindacato di merito sulle scelte discrezionali della PA, bensì verifica di legalità del suo operato; la natura negoziale dell’incarico dirigenziale non esclude infatti l’osservanza delle norme imperative che regolano a monte la scelta privatistica, da interpretarsi in modo più rigoroso qualora venga in rilievo un incarico dirigenziale di natura tecnica e non amministrativa. Il conferimento di incarico apicale esterno in violazione delle suddette regole genera un danno erariale quantificabile, in applicazione del principio della compensatio lucri cum damno, nell’importo differenziale tra il compenso effettivamente erogato e la retribuzione spettante a dirigente interno “di base”.

La sentenza in commento è stata pronunciata nel giudizio di responsabilità erariale sul conferimento di incarico dirigenziale apicale di natura tecnica a soggetto esterno all’Arpa Lombardia, per la durata complessiva di oltre sette anni in virtù di tre Decreti assunti dal Direttore Generale dell’ente, previa informativa al Consiglio di Amministrazione, e dei contratti accessivi per una retribuzione pari a €97.042,28 annui lordi elevabile di un’ulteriore quota fino ad €20.658,00 lordi secondo l’esito delle valutazioni annuali (contratto del 18 luglio 2011); € 97.042,28 annui lordi elevabile di un’ulteriore quota fino ad €20.658,00 lordi secondo l’esito delle valutazioni annuali (contratto del 1 luglio 2012); € 100.000 annui lordi elevabile di un’ulteriore quota fino ad €20.000 lordi secondo l’esito delle valutazioni annue (contratto del 17 dicembre 2013).

La Corte dei Conti ha in primo luogo sancito l’applicabilità alla fattispecie sub iudice della disciplina fissata dall’art. 19, co.6, D.Lgs n.165/2001, precisando che il conferimento di incarichi dirigenziali è riconducibile alla voce “ordinamento civile” di cui all’art. 117, co. 2 lett. l, Cost. come già affermato dalla sentenza C. Cost. n.324/2010 e, pertanto, rientra nella potestà legislativa esclusiva dello Stato; che l’applicabilità immediata e diretta della norma agli enti locali e territoriali trova conferma nel tessuto ordinamentale, con particolare riguardo all’art. 1 del D.Lgs. n.165/2001 e agli artt. 88 e 111 del D.Lgs. n.267/2000, ancor prima dell’espressa previsione di cui all’art. 19, co. 6-bis e 6-ter del D.Lgs. n.165/2001, introdotti dal D.Lgs. n.150/2009; che la potestà statutaria e regolamentare degli enti territoriali e locali (e degli enti “satellite” di tali soggetti pubblici) deve dispiegarsi, in ossequio alla gerarchia delle fonti, coerentemente con le norme imperative fissate nel TU Pubblico Impiego, come peraltro risultava nel caso di specie dal Regolamento Arpa 9.11.2010.

Nel dettagliare dunque i requisiti procedurali, professionali e culturali posti dall’art. 19, co.6, D.Lgs. n.165/2001 per il conferimento di incarichi dirigenziali esterni, la decisione in esame ha ricordato che il pubblico concorso – regola generale del nostro ordinamento amministrativo – pur nella sua perfettibilità offre garanzie di scelta imparziale, trasparente e meritocratica e consente una selezione non soltanto culturale dei candidati (per le capacità da dimostrare), ma anche etica (per la capacità di mettersi umilmente in gioco, confrontandosi con migliaia di candidati dopo anni di impegnativo studio), talché una selezione di tipo “paraconcorsuale” è irrinunciabile anche nel caso di deroga – normativamente consentita – al principio del pubblico concorso per poter lavorare temporaneamente con la PA, sia a titolo subordinato che autonomo (consulenze esterne, incarichi d’opera di alta professionalità).

E’ dunque necessario – ha evidenziato il giudice contabile – che sia indetta una procedura selettiva connotata da pubblicità dell’avviso a candidarsi, in cui siano fissati specifici requisiti selettivi in funzione degli obiettivi perseguiti e della complessità dell’ente conferente, unitamente ai relativi criteri di verifica e misurazione; successivamente la scelta della PA, sulla base di un esame comparativo di curricula pubblici, non potrà limitarsi ad una “tautologica, stereotipa e come tale inconsistente motivazione descrittiva”, ma dovrà esprimere una selezione logica, ragionevole ed ancorata a dati fattuali probanti.

Venendo specificamente all’esame dei requisiti posti dall’art. 19, co.6, D.Lgs. n.165/2001, la norma prescrive in primo luogo la verifica di professionalità interne idonee e disponibili ad assumere l’incarico e, solo ove mancanti, ne consente l’attribuzione a tre diverse categorie di soggetti di particolare e comprovata qualificazione professionale e culturale: a) soggetti che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati, ovvero aziende pubbliche o private, con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali; b) persone che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla indefettibile formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche o/e (congiunzione mutata dopo il D.Lgs. n.150/2009) da concrete esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi, in posizioni funzionali previste per l’accesso alla dirigenza; c) soggetti che provengano dai settori della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e procuratori dello Stato.

I giudici hanno affermato l’esigenza di una verifica rigorosa e stringente dei parametri di professionalità indicati dalla norma, non essendo sufficiente che dal curriculum dell’interessato emergano il solo possesso di un soddisfacente bagaglio conoscitivo e di esperienze “sul campo” nella materia specifica, ma risultando necessari i più severi requisiti di assoluta eccellenza professionale e di titoli universitari (o post-universitari) espressivi di “particolare” robusta preparazione anche teorica e istituzionale, specialmente quando l’incarico da conferire ha natura tecnica e non amministrativa, tanto trovando giustificazione anche sul piano metagiuridico, perché sarebbe irragionevole che il superiore gerarchico sia culturalmente e professionalmente meno dotato rispetto ai dirigenti sottoordinati che dirige e coordina.

Il sindacato giudiziale sull’osservanza degli indicati requisiti professionali, culturali e scientifici dev’essere penetrante, ad avviso del collegio non risolvendosi in un’indebita ingerenza nel merito di scelte discrezionali della PA, ma in una verifica di legalità del suo operato, alla stregua delle norme imperative che conformano a monte l’agere privatistico dell’amministrazione in funzione del perseguimento del pubblico interesse.

Il Collegio ha osservato infatti che la magistratura amministrativa e contabile si è dovuta spesso interessare di patologie gestionali riscontrate sia nel momento genetico del conferimento (procedure selettive con requisiti “sartorialmente” cuciti addosso al candidato da prescegliere; mancate procedure selettive; mancato vaglio di professionalità interne) sia, soprattutto, nella (non motivata o mal motivata) scelta dell’incaricando (sovente privo dei requisiti di alta professionalità o culturali imposti dalla legge.

La Corte ha quindi condotto uno scrutinio di tipo forte, con esito negativo, sulla legittimità del conferimento dell’incarico apicale a soggetto esterno non rientrante nelle categorie sub a) e c) previste dalla norma, giudicato sprovvisto della prescritta specializzazione professionale, scientifica e culturale di cui alla categoria sub b): dall’istruttoria documentale era emerso un percorso universitario non particolarmente brillante (laurea conseguita in otto anni con il voto di 100 su 110), un’attività scientifica non significativa anche in considerazione della qualità delle riviste ove l’incaricata aveva pubblicato; esperienze professionali non pertinenti con la tutela ambientale di cui al successivo incarico apicale conferito all’Arca e non avvenute presso autorevoli soggetti di rilevanza nazionale o internazionale in campi vicini alla tutela ambientale.

Inoltre l’incarico era stato conferito, con motivazione tautologica e stereotipa, senza una previa procedura selettiva, risultando totalmente pretermessa una previa analisi interna all’Arpa in ordine alla presenza di idonee professionalità intranee, laddove la Procura ha comprovato la presenza di ben 31 dirigenti interni laureati in Fisica con votazione ben superiore al soggetto prescelto, con diversi 110 e lode e con rilevanti curricula.

Venendo alla valutazione del danno erariale derivante dall’illegittimo conferimento di incarico apicale, la Corte dei Conti ha ritenuto tuttavia di dover fare applicazione del principio della compensatio lucri cum damno, valorizzando la circostanza che la designata era comunque soggetto con ordinaria preparazione tecnica-gestionale e laurea in Fisica e, dunque, la sua prestazione resa durante l’illegittimo incarico dirigenziale doveva essere valutata e retribuita in misura pari a quella confacente ad un incarico dirigenziale non apicale, conseguendone l’utilizzabilità di un criterio “differenziale” per il danno realizzato, fissato equitativamente equiparando, in termini di utilitas per Arpa, il servizio reso dall’incaricata a quello di un dirigente “di base” interno Arpa e alla relativa retribuzione media.

La pronuncia si conclude con il ragionato riparto percentuale della responsabilità erariale tra i soggetti che avevano concorso a vario titolo nella scelta gestionale illegittima.

Dott.ssa Giselda Stella

*Di prossima pubblicazione su “Lavoro e Previdenza Oggi” (www.lpo.it)

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