LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO: UN CASO DI ESTERNALIZZAZIONE – Tribunale di Velletri, 29 giugno 2017

giustizia

Assume rilevanza giustificativa del recesso datoriale una scelta organizzativa mirante ad incrementare l’efficienza gestionale e la redditività d’impresa, anche attraverso la riduzione dei costi, purché la sottesa riorganizzazione aziendale sia effettiva, non pretestuosa e abbia determinato la soppressione di una specifica posizione lavorativa. Non costituisce presupposto necessario alla legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo il fatto che l’impresa debba fronteggiare una situazione di crisi economico-finanziaria o spese aventi carattere straordinario, che comunque se evocate dovranno essere verificate. L’esternalizzazione non è altro che una possibile modalità di riassetto aziendale e di ri-organizzazione del lavoro a disposizione del datore, la cui scelta libera e insindacabile nel merito è tutelata dall’art. 41 Cost.

Licenziamento – Giustificato motivo oggettivo – Esternalizzazione – Riduzione dei costi – Legittimità della scelta datoriale – art. 3 L. n. 604/1966 – art. 41 Cost. – art. 7 L. n. 604/1966 – art. 18 L. n. 300/1970 – L. n. 92/2012

La ricorrente P.M., operaia addetta alle pulizie, ha convenuto in giudizio la società I. S.p.A. impugnando il licenziamento per insussistenza del giustificato motivo oggettivo. La lavoratrice assume altresì la violazione della procedura conciliativa preventiva, da esperire tramite la DTL, ex art. 7 legge n. 604/1966, come modificato dall’art. 1 co. 40, legge 92/2012, contestando anche la mancata ricerca di soluzioni di ricollocamento ed il difetto di motivazione.

Chiede la reintegrazione ed il risarcimento del danno ex art. 18, co. 1, legge 300/1970 per assenza del giustificato motivo oggettivo ovvero l’indennità risarcitoria per violazione della procedura conciliativa e mancanza di motivazione nell’atto espulsivo, ai sensi dell’art. 18, co.6.

Resiste la società costituendosi in giudizio e chiedendo il rigetto delle domande di parte attrice.

Il Tribunale di Velletri rileva che fin dalla lettera di avvio della procedura conciliativa fossero esaustivamente indicate le ragioni del recesso: la società ha ampiamente documentato una situazione di difficoltà economica, suffragata tra l’altro dal ricorso alla C.I.G. e da due successivi ulteriori licenziamenti, nonché dalla presenza di crediti non saldati da parte dell’unico committente.

Il licenziamento risulta giustificato da una effettiva riorganizzazione aziendale che è consistita nell’affidamento del servizio di pulizie, del quale la lavoratrice risultava l’unica addetta, ad una ditta specializzata con conseguente soppressione del posto di lavoro della ricorrente, per la quale non sussistevano in azienda altre postazioni di lavoro. La lavoratrice non lamenta violazione del repêchage né contesta la tesi datoriale per cui in azienda non esistevano altre postazioni di lavoro libere e compatibili, ma contesta la mancata intermediazione del datore di lavoro ai fini di un’assunzione da parte dell’impresa cui è stato esternalizzato il servizio. Quest’ultimo, osserva il giudice, non è però un obbligo a carico del datore.

In merito alla procedura conciliativa, il Tribunale ritiene che l’unico vizio procedurale sia consistito nella formale intimazione del licenziamento avvenuta contestualmente all’avvio della procedura conciliativa, invece che in una fase successiva. La stessa società datrice ha sanato il suddetto vizio revocando l’atto di recesso e inviando una nuova lettera di licenziamento dopo la conclusione, senza accordo, della procedura conciliativa.

La nozione di giustificato motivo oggettivo di licenziamento, contenuta nell’art. 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604 è stata oggetto di approfondimenti ed interpretazioni dottrinali e giurisprudenziali. Secondo uno dei fondamentali orientamenti interpretativi, contenuto da ultimo nella sentenza della Suprema Corte n. 25201/2016 e condiviso dal Tribunale di Velletri, la decisione organizzativa/produttiva può di per sé legittimare il licenziamento, essendo i motivi che sottendono a quelle scelte non sindacabili, così come non sindacabili sono gli obiettivi ultimi che l’imprenditore intende perseguire, ben potendo anche consistere nella riduzione dei costi. Solo nel caso siano evocate delle specifiche esigenze economiche queste dovranno essere verificate dal giudice.

Nel caso in esame, il Tribunale prende atto che sono state documentate le difficoltà economiche in cui si trova la società e l’effettivo riassetto aziendale.

Nel seguire l’indirizzo interpretativo della Corte di Cassazione, il Tribunale sostiene tra l’altro che il tenore letterale dell’art. 3 L. n. 604/66 non comporti la necessità di fare riferimento a situazioni di sofferenza economica o a spese di carattere straordinario che legittimino il licenziamento, né stando alla lettera della legge, possono trovare rilievo le finalità delle scelte imprenditoriali. In caso contrario in assenza di crisi l’imprenditore non potrebbe intervenire a modificare l’organizzazione aziendale per migliorarne la redditività, la competitività, l’efficienza.

Ritiene inoltre il Tribunale che l’art. 3 non costituisca una clausola generale da completare con valori desumibili dal tessuto sociale, con concetti extragiuridici che si evolvono nel tempo, ma una formula con la quale il legislatore ha ritenuto di dare spazio a tutte le ragioni riguardanti l’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento di essa, senza comprimere l’autonomia imprenditoriale.

Il giudice in un’ottica di contemperamento degli interessi contrapposti, quello del datore alla libertà ed insindacabilità delle scelte imprenditoriali, tutelate dall’ art. 41 Cost. e dall’art. 2082 c.c. che riserva all’imprenditore l’organizzazione dell’impresa, e quello del lavoratore alla continuità e alla stabilità del posto di lavoro, non potrà sindacare il merito e l’opportunità delle valutazioni organizzative e produttive effettuate dall’imprenditore, ma esclusivamente la veridicità e l’effettività delle stesse e la sussistenza del nesso di casualità con la posizione del lavoratore, così da escludere ogni pretestuosità sia delle esigenze tecnico-economiche invocate che della scelta del lavoratore.

A livello sovranazionale tale indirizzo interpretativo risulta avallato dall’interpretazione che il Comitato sociale europeo dà dell’art. 24 della Carta Sociale Europea: qualsiasi licenziamento deve fondarsi su una valida ragione collegata alla persona del lavoratore o ad esigenze organizzative dell’impresa, da intendersi queste ultime “come misure industriali o strategiche necessarie per conservare o migliorare la propria competitività in un mercato globalizzato anche quando l’impresa non risulta essere in difficoltà economiche”, escludendo pertanto che solo la crisi d’impresa possa legittimare il licenziamento per motivo oggettivo.

Accertata nel caso in esame la sussistenza delle difficoltà economico finanziarie richiamate dall’impresa, l’avvenuto riassetto organizzativo e l’incidenza causale sulla posizione della lavoratrice, nonché l’impossibilità di reimpiego, il Tribunale di Velletri respinge il ricorso ritenendo legittimo il licenziamento determinato da una scelta organizzativa che consista nell’esternalizzazione del servizio al fine di ridurre i costi di gestione.

Emanuela Guarella

*Di prossima pubblicazione su “Lavoro e Previdenza oggi” (www.lpo.it)

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