LAVORO PUBBLICO E SPAZI DELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA – Provvedimenti citati sotto

martello microfoni

Tribunale di Roma, sent., 24.3.2014, est. Baraschi
“Sono inefficaci a far data dal 15.11.2009, in quanto in contrasto con il D. Lgs. n. 165 del 2001, come modificato dal D. Lgs. n. 150 del 2009, le clausole del CCNL del Comparto Regione e Autonomie Locali che prevedono, in materia di organizzazione degli uffici, meccanismi di conertazione o comunque forme di partecipazione sindacale diverse e più incisive della informazione (ad es. confronto, consultazione, istituzione di comitati paritetici)” (massima a cura dell’avv. Raffaele Del Gaudio)

Tribunale di Roma, decr., 20.3.2015, est. Selmi
“Rientra nella esclusiva competenza dell’amministrazione pubblica (da esercitarsi con i poteri del privato datore di lavoro) la determinazione dell’orario di servizio delle varie strutture (e cioè il periodo di tempo giornaliero necessario ad assicurare l’ottimale funzionamento delle strutture e, in particolare, l’apertura degli uffici) trattandosi di aspetto riconducibile alla materia dell’organizzazione degli uffici (materia relativamente alla quale le organizzazioni sindacali hanno, ai sensi dell’art. 5, comma 2, del d. lgs. n. 165/2001, un mero diritto di informazione) materia espressamente esclusa (a pena di nullità dell’accordo ex art. 40, comma 3 quinquies, d.lgs. n. 165/2001) dalla competenza della contrattazione collettiva” (massima a cura dell’avv. Raffaele Del Gaudio)

Il D.Lgs. n. 150 del 2009 è intervenuto profondamente sul T.U. del Pubblico Impiego, restringendo significativamente gli spazi della contrattazione collettiva. Ne è derivato un importante contenzioso, in cui il Giudice del lavoro ha dovuto spesso tracciare i nuovi limiti del ruolo del sindacato nel settore pubblico.
Tale impegno si è reso necessario non solo e non tanto a causa di un intervento legislativo poco chiaro, ma soprattutto per la complessità della materia, peraltro aggravata da ulteriori problemi di natura transitoria (si veda, sul punto, in particolare, la sentenza del marzo 2014).
Proprio tale ultimo profilo emerge con evidenza dai due provvedimenti del Tribunale del Lavoro di Roma in commento.
Si tratta di due procedimenti ex art. 28, Stat. Lav.: uno deciso, in fase di opposizione, con la sentenza del 24.3.2014; l’altro con decreto del 20.3.2015.
Nella prima fattispecie, l’organizzazione sindacale ricorrente (la DIRER-DIRL, un sindacato dirigenziale) lamentava l’antisindacalità della condotta della Regione Lazio per aver omesso l’informazione e/o l’attivazione della concertazione in varie materie, “nonché la costituzione del comitato paritetico per la verifica degli incarichi di cui all’art. 18 L. 109/94 e di quello per la omnicomprensività di cui all’art. 20 CCNL del settore”.
Nella seconda, invece, il sindacato lamentava che l’INPS aveva demandato ai direttori delle sue strutture, “previa rideterminazione dell’orario di servizio, di procedere alla rinegoziazione, in sede di contrattazione decentrata di secondo livello, dell’articolazione dell’orario di lavoro del personale” e, dunque, senza convocare al tavolo delle trattative l’associazione nazionale ricorrente.
In entrambi i casi, perciò, i giudici sono stati chiamati a delimitare il ruolo del sindacato e a chiarire quale fosse esattamente la normativa vigente.
La Riforma Brunetta, infatti, ha notevolmente complicato la materia, modificandone sostanzialmente molti aspetti e lasciando, in alcuni di questi, delle lacune, colmabili solo dai futuri interventi della contrattazione collettiva.
Questa problematica emerge chiaramente soprattutto nel provvedimento con cui è stato deciso il primo procedimento.
Infatti, con decreto, il Tribunale aveva inizialmente accolto il ricorso del sindacato, salvo poi tornare sui suoi passi con la successiva sentenza: “sembra quindi fondata l’opposizione della Regione Lazio nella parte in cui contesta la decisione resa nella fase d’urgenza per aver valutato attualmente vigente il contratto collettivo sottoscritto prima della riforma Brunetta e quindi sussistenti gli obblighi di concertazione a carico della Regione Lazio”.
In altre parole, non poteva ritenersi condivisibile la decisione della precedente fase, in quanto il CCNL di comparto, a fronte dell’intervento del legislatore, risultava contrario alle nuove norme imperative, come modificate dal D.Lgs. n. 150 del 2009.
In particolare, sotto tale profilo, il Giudice della seconda fase ha fatto riferimento alla nuova formulazione dell’art. 40, D.Lgs. n. 165 del 2001, secondo cui sono “escluse dalla contrattazione collettiva le materie attinenti all’organizzazione degli uffici, quelle oggetto di partecipazione sindacale ai sensi dell’articolo 9, quelle afferenti alle prerogative dirigenziali ai sensi degli articoli 5, comma 2, 16 e 17, la materia del conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali, nonché quelle di cui all’articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 23 ottobre 1992, n. 421” ed è ammesso l’intervento della contrattazione collettiva, “negli esclusivi limiti previsti dalle norme di legge”, solo “nelle materie relative alle sanzioni disciplinari, alla valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio, della mobilità e delle progressioni economiche” (comma 1, art. cit.).
Altro riferimento è stato poi effettuato al nuovo art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 165 del 2001, ai sensi del quale, dopo la Riforma, “nell’ambito delle leggi e degli atti organizzativi di cui all’art. 2, comma 1, le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, fatta salva la sola informazione ai sindacati, per le determinazioni relative all’organizzazione degli uffici ovvero, limitatamente alle misure riguardanti i rapporti di lavoro, l’esame congiunto ove previsti nei contratti di cui all’art. 9”.
Il D.Lgs. n. 150 del 2009 ha dunque introdotto significativi limiti allo spazio di azione della negoziazione collettiva, considerato anche che pure per gli atti di macro-organizzazione residua un semplice obbligo di informazione a carico dell’Amministrazione, “con l’esclusione di qualsiasi altra forma più intensa di partecipazione delle OOSS ai processi decisionali dell’Amministrazione datrice di lavoro (concertazione o consultazione)” (ma v. l’esame congiunto in caso di procedura di mobilità ex art. 33, D.Lgs. n. 165 del 2001).
Non poteva trovare accoglimento neanche il ricorso dell’Unione Sindacale di Base del Pubblico Impiego contro le condotte antisindacali asseritamente poste in essere dall’INPS.
Infatti, l’USB lamentava “come l’Inps tentasse di demandare alla contrattazione collettiva decentrata di secondo livello una materia (quella dell’orario di lavoro) di competenza della contrattazione collettiva nazionale”, seppure, all’esito della Riforma, “debba attribuirsi alla esclusiva competenza dell’amministrazione pubblica (da esercitari con i poteri del privato datore di lavoro) la determinazione dell’orario di servizio delle varie strutture (e cioè il periodo di tempo giornaliero necessario ad assicurare l’ottimale funzionamento delle strutture e, in particolare, l’apertura degli uffici) trattandosi di aspetto riconducibile alla materia dell’organizzazione degli uffici (materia relativamente alla quale le organizzazioni sindacali hanno, ai sensi dell’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001, un mero diritto di informazione)materia espressa esclusa (a pena di nullità dell’accordo ex art. 40, comma 3 quinquies, d.lgs. n. 165/2001) dalla competenza della contrattazione collettiva”.
La decisione in questione appare condivisibile anche nel punto in cui ha riconosciuto la legittimità dell’intervento della contrattazione decentrata in tema di orario di lavoro del personale, poichè tale prerogativa le era stata attribuita proprio dall’art. 17, CCNL del 6.7.1995, che l’aveva prevista quando tale intervento si fosse reso necessario a causa di “processi di riorganizzazione, fattispecie quest’ultima a cui è evidentemente riconducibile anche quella della modifica dell’orario di servizio delle varie strutture dell’amministrazione. Trattasi in quest’ultimo caso di disposizione avente carattere di specialità rispetto a quella precedentemente menzionata e che attribuisce alla competenza di tale livello di contrattazione le modifiche dell’articolazione dell’orario di lavoro conseguenti a processi di riorganizzazione aventi diretta incidenza sulle singole strutture dell’ente”.
In conclusione, dai provvedimenti in rassegna emergono i tratti salienti della Riforma Brunetta in tema di autonomia collettiva, riforma inequivocabilmente tesa ad “arginare” l’ingerenza delle organizzazioni sindacali sull’esercizio dei poteri gestionali del datore di lavoro pubblico.
Finalità, questa, perseguita dal legislatore affidando alla dirigenza pubblica prerogative più ampie e significative, rinnovando anche – quale contrappeso – il procedimento disciplinare.

Raffaele Del Gaudio

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