IL PATTO DI NON CONCORRENZA, PROFILI SOSTANZIALI GENERALI E PROFILI PROCESSUALI – Provvedimenti citati sotto

martello prim piano

Tribunale Civile di Roma, prima sezione lavoro, ordinanza su reclamo cautelare ex art. 669 terdecies c.p.c. n. 39053 del del 14 aprile 2015 dott. Paolo Sordi (presidente), dott.ssa Ida Cristina Pangia (giudice relatore), dott.ssa Anna Paogotto

Tribunale Civile di Roma, terza sezione lavoro, decreto inaudita altera parte/ordinanza del 3 marzo 2015, Consigliere Paolo Mormile

“In base alla complessiva portata della clausola in esame, i limiti territoriali per l’attività lavorativa del C. risultano indeterminati, in relazione alla ampia possibilità di modifica unilaterale prevista in favore della BNL, ciò che si pone in contrasto con le prescrizioni di cui all’art. 2125 c.c. e comporta la nullità dell’intero patto di non concorrenza, secondo la previsione della norma stessa”. (ordinanza 39053 del 14 aprile 2015).

“Secondo quanto previsto dall’art. 700 c.p.c., costituisce requisito di ammissibilità della domanda di provvedimento atipico d’urgenza l’esistenza del “fondato motivo di temere che, durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile. Ora il periculum in mora non può identificarsi sic et simpliciter con un danno di natura economica o patrimoniale, bensì nella irreparabilità del pregiudizio che potrebbe verosimilmente derivare dal tempo occorrente allo svolgimento di un giudizio a cognizione piena. Quanto poi al fumus boni iuris è documentalmente provata l’intercorrenza, tra le part, di una convenzione a prestazioni corrispettive recante la previsione di un esplicito patto di non concorrenza ex art. 2125 c.c.” (decreto del 3 marzo 2015).

Profili sostanziali generali

La BNL SpA con ricorso ex art. 700 c.p.c ante causam chiedeva l’adozione di un provvedimento cautelare volto ad inibire al resistente lo svolgimento e la prosecuzione dell’attività concorrenziale illegittima, contrattualmente vietata di promotore finanziario a beneficio di altri istituti di credito, con provvedimento provvisoriamente esecutivo.

Il giudice adito accoglieva l’istanza cautelare inaudita altera parte ex art. 669 sexies c.p.c. e così inibiva al convenuto lo svolgimento della predetta attività con correntisti o clienti BNL, anche in ragione della grave esposizione debitoria che ne era derivata.

Dopo aver confermato il provvedimento inibitorio quest’ultimo veniva reclamato davanti al Collegio dall’interessato sostenendone con varie argomentazioni l’illegittimità, pertanto, concludendo per la integrale riforma dello stesso con vittoria di spese di lite. Sulle conclusioni delle parti il Collegio si riservava pervenendo poi ad una decisione di accoglimento del reclamo stesso.

Il motivo posto a fondamento della decisione collegiale consiste nel fatto che il patto di non concorrenza de quo sarebbe stato sottoscritto inter partes senza alcun limite territoriale, in violazione dell’art. 2125 c.c., che richiede per contro la necessità di specifici e determinati limiti di oggetto di tempo e di luogo onde evitare che il patto stesso si traduca in una indebita limitazione del diritto al lavoro costituzionalmente garantito (art. 35 Cost.).

Orbene, come è noto, il patto di non concorrenza, contratto a prestazioni corrispettive e a titolo oneroso, può essere stipulato, se le parti sono d’accordo, prima, durante o dopo la firma del contratto di lavoro e regolamenta l’attività del lavoratore per il periodo successivo alla cessazione del rapporto (art. 2125 cod. civ.).
Per quanto riguarda la limitazione rationae materiae è indubbio che l’oggetto del divieto sarà quell’attività che il datore di lavoro intende limitare poiché fonte di un possibile pregiudizio per la sua impresa.
Il caso che ci occupa ha posto particolare attenzione sui limiti territoriali nei quali tale patto può essere esercitato.
Si è costantemente ritenuto in giurisprudenza che fosse legittima l’inibizione dell’attività lavorativa entro l’ambito spaziale di operatività dell’impresa al momento della cessazione del rapporto di lavoro, anche se esso si estende a tutto il territorio nazionale.

Recentemente, è stato affermato che è nullo il patto di non concorrenza esteso a tutto il territorio dell’Unione europea e ad un intero settore merceologico, ne deriva la nullità del patto e la caducazione dei conseguenti obblighi, oltre al diritto per l’azienda di ripetere quanto erogato in ragione del patto medesimo. In molti casi, però una delimitazione spaziale così ampia può risultare estremamente pregiudizievole per il lavoratore che si vede limitato nella ricerca di un’occupazione coerente con le proprie attitudini professionali.

Pertanto, la giurisprudenza, al fine di limitare il pregiudizio nascente in capo al lavoratore stipulante il patto de quo, ha previsto che sarà nullo il patto che permette al lavoratore l’esercizio dell’attività in luogo ove è quasi inesistente la richiesta di quella particolare preparazione professionale o, nel caso in cui l’ex dipendente decida di divenire imprenditore, non sia logisticamente possibile installare in quel determinato posto un certo tipo di azienda.

Alla luce di quanto su detto, ad avviso del giudicante, nel caso di specie, tale patto dovrà considerarsi tamquam non esset, invero, secondo la Giursiprudenza, il patto di non concorrenza previsto per il tempo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro, è nullo se non risulta da atto scritto, se non è pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e se il vincolo non è contenuto entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo”. La nullità del patto è prevista dalla legge per tutte le ipotesi in cui la sua ampiezza sia tale da comprimere la esplicazione della concreta professionalità del lavoratore in limiti che ne compromettano ogni potenzialità reddituale. Va dunque ritenuto nullo il patto di non concorrenza che precluda al lavoratore lo svolgimento di qualsiasi attività nel settore specifico, nell’intero ambito nazionale e per la durata di anni tre, a fronte di un corrispettivo ragguagliato ad una cifra irrisoria.

Tuttavia, il provvedimento in esame non affronta la questione relativa al vizio conseguente al difetto dei requisiti richiesti dall’art. 2125 c.c., nel senso che non si comprende se la mancanza di uno o di alcuni di detti elementi produca la nullità ex art. 1325 c.c. del patto e con quali conseguenze sul piano delle obbligazioni restitutorie di cui all’art. 2033 c.c.; trattandosi di un importo considerevole sarebbe forse stato opportuno approfondire il profilo relativo alla patologia del patto di non concorrenza de quo.

Profili processuali

Nel provvedimento adottato in data 3 marzo 2015 dal Tribunale di Roma in composizione monocratica, si evince che l’azione cautelare è promossa dal datore di lavoro nei confronti del proprio dipendenti o collaboratore con una sostanziale inversione del tradizionale ruolo delle parti. Tuttavia, in realtà, tale tipologia di domanda si giustifica per l’interesse ad agire datoriale ex art. 100 c.p.c. avendo tale soggetto l’esigenza di “fermare” o meglio di inibire al lavoratore la prosecuzione di una condotta illecita, violativa di obblighi contrattuali e, più in generale, del neminem laedere ex art. 2043 c.c..

Del resto i ricorsi in materia di lavoro possono anche essere proposti dai datori in casi particolari, come quello in cui un imprenditore voglia radicare la competenza per territorio del giudice adito in un dato luogo temendo che, se dovesse attendere il deposito del ricorso del lavoratore, costui radicherebbe la causa presso l’ufficio a lui più confacente, ai sensi dell’art. 413 c.p.c. “Le controversie previste dall’articolo 409 sono in primo grado di competenza del tribunale in funzione di giudice del lavoro. Competente per territorio è il giudice nella cui circoscrizione è sorto il rapporto ovvero si trova l’azienda o una sua dipendenza (2555 c.c.) alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto (2118 ss. c.c.).
Tale competenza permane dopo il trasferimento dell’azienda o la cessazione di essa o della sua dipendenza, purché la domanda sia proposta entro sei mesi dal trasferimento o dalla cessazione.
Competente per territorio per le controversie previste dal numero 3 dell’articolo 409 è il giudice nella cui circoscrizione si trova il domicilio dell’agente, del rappresentante di commercio ovvero del titolare degli altri rapporti di collaborazione di cui al predetto numero 3 dell’articolo 409.
Competente per territorio per le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni è il giudice nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio al quale il dipendente è addetto o era addetto al momento della cessazione del rapporto. Nelle controversie nelle quali è parte una amministrazione dello Stato non si applicano le disposizioni dell’articolo 6 del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611. Qualora non trovino applicazione le disposizioni dei commi precedenti, si applicano quelle dell’articolo 18. Sono nulle le clausole derogative della competenza per territorio”.

Federica Pisapia

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