IL FATTO POSTO A BASE DEL LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO DEVE’ESSERE INTESO COME INCLUSIVO ANCHE DEL NESSO EZIOLOGICO – C. App. Torino, 6.5.2014, pres. Mariani, est. Sanlorenzo

toga di spalle

La Corte d’Appello di Torino si pronuncia sulla manifesta insussistenza del fatto nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

La Corte d’Appello di Torino con sentenza del 6 maggio 2014 ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato ad un lavoratore per giustificato motivo oggettivo, attesa la manifesta insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento, condannando la società datrice di lavoro a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro ed al pagamento di una indennità risarcitoria, pari alle retribuzioni globali di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, nonché al versamento di tutti i contributi previdenziali ed assistenziali oltre interessi.

La società datrice di lavoro, alla luce di una situazione di crisi per l’azienda, che aveva già indotto la stessa all’apertura di una procedura di mobilità per un esubero pari ad un terzo della forza lavoro, ha concluso con le OO.SS. un accordo al fine di trovare una soluzione condivisa. Tale intesa è stata posta in essere al fine di salvaguardare l’assetto occupazionale in pericolo, mediante l’adozione di “strumenti ed iniziative” a ciò idonei, ossia attraverso riduzioni del trattamento economico spettante ai dipendenti a norma di contratto. Successivamente alla formalizzazione di tale accordo la società ha irrogato un licenziamento per giustificato motivo oggettivo (oggetto della fattispecie in esame), stante il costante calo di fatturato dato da una riduzione del volume di affari.

A seguito dell’impugnativa di tale licenziamento sia il Tribunale di Pinerolo, con ordinanza, che quello di Torino, in sede di opposizione, hanno dichiarato il provvedimento aziendale pienamente legittimo. Queste decisioni sono frutto della critica mossa alle OO.SS, le quali, per salvaguardare il posto di lavoro del ricorrente e degli altri lavoratori, avrebbero dovuto pretendere l’inserimento nell’accordo di un impegno preciso dell’azienda a non mettere in atto futuri licenziamenti. Tale carenza, pertanto, ha legittimato il provvedimento di licenziamento posto in essere dal datore di lavoro successivamente all’accordo.

La Corte territoriale, in sede di reclamo ex art. 1, comma 58 e ss., L. 92/2012, tuttavia, non condividendo la critiche mosse dal Tribunale all’operato delle OO.SS. ha rilevato che «se è fuori dubbio che non compete al giudice sindacare le scelte imprenditoriali, è d’altra parte innegabile che ove una valutazione della situazione economica ed occupazionale sia stata compiuta da parte datoriale e posta alla base di un accordo sindacale finalizzato, come quelle dei dipendenti al mantenimento dell’assetto occupazionale (per il periodo di almeno un anno, essendo previsto un riesame annuale), non può che apparire contraria ai principi di correttezza e buona fede, oltre che assolutamente irragionevole, una diversa valutazione operata unilateralmente dall’imprenditore sulla base dei medesimi dati già valutati ai fini del citato accordo sindacale, con il risultato di sconvolgere l’assetto concordato». Il datore di lavoro, quindi, qualora avesse voluto irrogare un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, successivamente all’accordo con le OO.SS., avrebbe dovuto necessariamente indicare le plausibili e sopraggiunte ragioni poste alla base del recesso. Nel caso di specie, però, tali allegazioni e prove sono mancate del tutto, in quanto il licenziamento per g.m.o. è stato irrogato per le medesimi ragioni che hanno condotto all’accordo, ossia alla luce della medesima crisi economica che era stata presa in considerazione nella trattativa con il sindacato.

Tutte queste ragioni hanno condotto ad un «giudizio di insussistenza del giustificato motivo oggettivo» le cui conseguenze sono da ricercare nel novellato art. 18 St. Lav.

Alla luce della L. n. 92/2012, infatti, «la reintegra si pone come sanzione solo eventuale, a cui il giudice “può” accedere solo nel caso in cui accerti “la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo”».

La Corte procede, quindi, con l’analisi dell’espressione “fatto posto a base del licenziamento” (art. 18, co. 7, St. Lav.) e rileva che se per « “fatto posto alla base del licenziamento” si volesse intendere solo ed esclusivamente il fatto materiale indicato dal datore di lavoro nel provvedimento, ne verrebbe esclusa ogni possibilità di sindacato – ai fini della reintegra- di tutti i restanti elementi necessari per integrare il giustificato motivo oggettivo, primo fra tutti quello del nesso eziologico fra la situazione aziendale e la scelta consistita nel licenziamento. Una tale interpretazione non consentirebbe al giudice se non una presa d’atto rispetto ai presupposti dati a monte, senza poter procedere, a valle, al sindacato a proposito della complessiva sussistenza del giustificato motivo in sé: nel caso di specie, la limitazione è particolarmente evidente, e per altro verso ingiustificata, proprio perché ciò che qui viene in risalto non è tanto la considerazione della situazione di crisi aziendale, ma il fatto che ad essa l’imprenditore ha ritenuto – nell’estrinsecazione della sua autonomia negoziale – di dare una risposta alternativa a quella della riduzione della forza lavoro».

La Corte, alla luce di tali osservazioni, riconduce la fattispecie in esame all’ipotesi di “manifesta insussistenza” del fatto «inteso come inclusivo del nesso eziologico tra le scelte organizzative datoriali ed il licenziamento, che, a fronte di quelle esplicate nell’accordo con le OO.SS., risulta ictu oculi privo di giustificazione, proprio in base alle valutazioni che della crisi e delle misure conseguenti l’imprenditore medesimo aveva adottato».

A cura di Angela Gambardella

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