IL FATTO ADDOTTO DAL DATORE DI LAVORO COME GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO È “MANIFESTAMENTE INSUSSISTENTE” QUALORA ESSO NON SI SIA VERIFICATO NELLA REALTÀ – Trib. Roma, 19.6.2014, est. Mimmo

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Il Tribunale di Roma ancora alle prese con la manifesta insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Nell’ordinanza in epigrafe si evidenzia la difficoltà di distinguere la “manifesta insussistenza del fatto” (che porta alla reintegrazione) dalla semplice insussistenza degli estremi del g.m.o. (cui consegue una tutela meramente risarcitorie) alla luce della nuova formulazione dell’art. 18 St. Lav.

Il Giudice del lavoro, sul punto, ha rilevato che nei casi di g.m.o. la norma nel far riferimento alla “manifesta insussistenza del fatto” «richiama il fatto storico che costituisce ragione del recesso: se tale fatto non sussiste si dà luogo alla tutela reintegratoria di cui al quarto comma dell’art. 18 St. Lav., mentre se il fatto, pur sussistendo, non possa essere qualificato come giustificato motivo oggettivo, pur se illegittimo, andrà unicamente incontro alla tutela indennitaria». In altre parole «il fatto addotto dal datore di lavoro come giustificato motivo oggettivo è “manifestamente insussistente qualora esso non si sia verificato nella realtà. Se, invece, il fatto sussiste, ma non assume dimensioni tali da integrare un giustificato motivo oggettivo si rientrerà nella tutela indennitaria».

Nel caso in esame, la motivazione che il datore di lavoro ha posto a fondamento del licenziamento è stata confermata sia dalla documentazione contabile prodotta da parte resistente che dalle risultanze istruttorie. Ciò che, invece, «la società non ha provato è la possibilità di utilizzare il dipendente» presso la stessa società datrice di lavoro e presso una delle altre tre società ad essa collegate (nella stessa ordinanza, infatti, è stato dapprima accertato che le quattro società convenute costituissero un unico soggetto giuridico). Tale circostanza rileva in quanto una delle società collegate, successivamente al licenziamento, ha assunto «un commesso (con identico inquadramento e mansione del ricorrente), rendendo così evidente la necessità di nuovo personale, necessità cui avrebbe potuto far fronte attraverso una diversa collocazione del ricorrente».

Il Giudice, alla luce delle circostanze di fatto dedotte, ha rilevato che l’illegittimità del licenziamento non è derivata dalla «insussistenza dei fatti indicati nella lettera di recesso», quanto dalla «loro inidoneità  ad integrare un giustificato motivo oggettivo di licenziamento, non avendo il datore di lavoro provato in alcun modo di non poter ricollocare utilmente il dipendente» atteso che una delle società collegate «ha provveduto, dopo il licenziamento, ad assumere nuovo personale avente la medesima qualifica del ricorrente».

Ne consegue che trovano applicazione, attraverso il rinvio effettuato dal comma 7, dell’art. 18 della L. n. 300 del 1970 per le ipotesi in cui, al di fuori della manifesta insussistenza dei fatti, il giudice accerti che non ricorrano gli estremi del giustificato motivo oggettivo, le conseguenze di cui al quinto comma di detta norma, ossia la tutela indennitaria forte.

 A cura di Angela Gambardella

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