CONVERSIONE DEL CONTRATTO A TERMINE E NUOVA DISCIPLINA DEI LICENZIAMENTI (D. LGS. N. 23 DEL 2015) – Tribunale di Roma, Sezione Lavoro, 28 Marzo 2017, est. Giacomini

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L’art. 1, c. 2, del D.Lgs. n. 23 del 2015 ha l’effetto di estendere l’applicabilità del regime sanzionatorio del c.d. Jobs Act anche ai rapporti di lavoro che, sorti a tempo determinato prima del D.Lgs. n. 23 del 2015, siano divenuti a tempo indeterminato successivamente, per effetto di una pronuncia giudiziale, ovvero di un atto negoziale.
Lavoro (rapporto di) – Contratto a tempo determinato sorto prima del D.Lgs. n. 23 del 2015 – Conversione giudiziale a tempo indeterminato dopo il medesimo decreto – Nuovo regime sanzionatorio contro i licenziamenti – Applicabilità

La nuova disciplina sanzionatoria, in materia di licenziamento, introdotta dal D.Lgs. n. 23 del 2015, c.d. a “tutele crescenti”, sta sollevando numerosi problemi interpretativi e applicativi, come confermato dalle recenti pronunzie di merito fino ad oggi note.
Indubbiamente, gli artt. 2 e 3 sono quelli che stanno suscitando il maggior dibattito, sia in dottrina, sia in giurisprudenza; tuttavia, il provvedimento in commento riguarda un profilo diverso ma ugualmente meritevole di interesse, anche e soprattutto per i risvolti pratici che può avere.
In particolare, la fattispecie di cui si occupa il Tribunale di Roma, riguarda l’applicazione dell’art. 1, c. 2, del suddetto D.Lgs. n. 23.
Il caso in esame tratta di una lavoratrice che, una volta ottenuta la conversione giudiziale del rapporto da tempo determinato a tempo indeterminato in data 14.4.2016 – per nullità del termine apposto al contratto stipulato il 1.12.2011 –, è stata in seguito licenziata, per giustificato motivo oggettivo, il 10 maggio 2016; la stessa ha impugnato il provvedimento espulsivo con le forme del c.d. “rito Fornero”.
Il Giudice, per stabilire il rito applicabile, statuisce innanzitutto che il caso in esame rientra pienamente nella disciplina dettata dall’art. 1, c. 2 cit., e ciò sulla base di una serie di considerazioni.
Primariamente, si legge nel provvedimento che l’intento della norma in esame è proprio quello di ampliare l’applicabilità del nuovo regime anche ai contratti divenuti a tempo indeterminato successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 23 del 2015, come, peraltro, da espressa volontà del legislatore.
Neppure si può sostenere, secondo il Giudice, che la circostanza che la conversione produca effetto dalla data di costituzione del rapporto, e non dalla sentenza, possa escludere l’applicabilità della fattispecie in commento, poiché, in ipotesi come queste, ciò che rileva è la data dell’atto che dispone la conversione, e non il momento dal quale essa esplica i suoi effetti.
Ad avviso dell’ordinanza in commento, non sembrano neppure esserci profili di contrasto con i principi direttivi fissati dalla Legge delega (l. n. 183 del 2014), perché, se è pur vero che – ai sensi dell’art. 1, comma 7, lett. c) della stessa legge – il nuovo regime è previsto solo per le “nuove assunzioni” (ossia, per le assunzioni a tempo indeterminato successive al 7.3.2015), non può negarsi che l’obiettivo principale del legislatore “è quello di assicurare tutele uniformi e legate alla storia contributiva dei lavoratori, nonché quello di semplificare la disciplina delle tipologie contrattuali e dei rapporti di lavoro, armonizzandole il più possibile con il regime delle tutele crescenti, intento cui la soluzione prospettata sembra dare piena esecuzione”.
Il Tribunale, inoltre, sempre in ossequio alla ratio dell’intervento riformatore, propende per un’estensione dell’applicabilità della stessa anche nei casi di contratti di somministrazione e di lavoro a progetto sorti prima del 7 marzo 2015, ma solo in seguito dichiarati illegittimi, e nelle ipotesi di contratto di apprendistato proseguito senza soluzione di continuità, anche se avviato prima del 7 marzo, in seguito al mancato esercizio della facoltà di recesso al termine del periodo di formazione o per effetto di una pronuncia giudiziale.
In conclusione, il Giudice ha stabilito che la controversia, non essendo assoggettata alle tutele derivanti dall’art. 18 Stat. lav. così come modificato dalla c.d. legge Fornero, non può essere trattata con il rito di cui all’art. 1, cc. 47 e ss., della legge n. 92 del 2012, poiché il sistema a tutele crescenti ne prevede espressamente la non applicazione alle controversie disciplinate dal nuovo “regime” (ex art. 11 del D.Lgs. n. 23 del 2015), e, conseguentemente, anche per esigenze di economia processuale, ha disposto il mutamento nel rito ordinario del lavoro ex artt. 409 e ss. c.p.c., con la fissazione di un termine alle parti per integrare gli atti introduttivi.
L’ordinanza in commento è sicuramente di grande interesse, in quanto, stante la notevole incertezza che sta generando l’ultima riforma del lavoro, fornisce un’interpretazione strettamente legata sia alla ratio delle innovazioni legislative, sia al tenore letterale della norma, permettendo “all’interprete di ricomprendere all’interno della nuova disciplina anche quei casi di contratti antecedenti ad essa come contratti a tempo determinato, ma convertiti in epoca successiva in contratti a tempo indeterminato, per effetto della pronuncia di un giudice”.

Giorgio Iorio

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