TRASFERIMENTO D’AZIENDA IN CRISI E PRESUPPOSTI PER APPLICAZIONE DELLE DEROGHE PREVISTE DALL’ART. 47 L. 428 DEL 1990 – Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sentenza del 13 giugno 2018, est. Dott.ssa Vollero

giustizia

In ogni ipotesi di trasferimento di azienda, salva l’operatività delle deroghe legislativamente previste, trova applicazione la regola generale di cui all’art. 2112 cod. civ., che garantisce al lavoratore il diritto soggettivo alla prosecuzione del rapporto di lavoro con la concessionaria, mentre le deroghe tassative sono quelle previste, per le imprese in crisi, dai commi 4 bis e 5 dell’art. 47 della l. 428/90 (massima a cura degli autori).

In caso di Trasferimento d’azienda in crisi, i commi 4 bis e 5 dell’art 47 della l. 428/1990 contengono delle ipotesi tassative di deroga alla disciplina generale di cui all’art. 2112 c.c.: conseguentemente, in assenza dei presupposti ivi previsti, l’accordo sindacale, seppur raggiunto, risulta nullo (massima a cura degli autori).

Lavoro (rapporto di) – Trasferimento d’azienda – Art. 2112 c.c. – Impresa in crisi – Amministrazione straordinaria – L. 428 del 1990, art. 47 – Deroghe –Tassatività

Lavoro (rapporto di) – Trasferimento d’azienda in crisi – L. 428 del 1990, art. 47, comma 4 bis e 5 – Presupposti – Differenze

La disciplina italiana relativa al trasferimento d’azienda di un’impresa in crisi nasce sulla base del dibattito giurisprudenziale e dottrinale che per anni è stato al centro del panorama comunitario. Negli ultimi vent’anni, il legislatore italiano è più volte intervenuto al fine di adeguare la normativa statale alle direttive europee (in particolare, la n. 77/187/CEE), che hanno portato all’introduzione di una regolamentazione speciale, contenuta nell’art. 47 L. n. 428 del 1990, relativa alle vicende circolatorie di imprese che si trovino in “grave crisi aziendale”, la quale costituisce una deroga alla norma generale di cui all’ art. 2112 c.c.. Il legislatore ha così previsto un’eccezione, prediligendo la conservazione dell’azienda e la salvaguardia, per quanto possibile, dei livelli occupazionali.

L’art. 47 della legge n. 428 del 1990 si articola in due differenti tipologie di deroga: la prima, parziale, prevista dal comma 4 bis, che prevede l’applicazione dell’art. 2112 c.c. solo limitatamente a quanto previsto nell’accordo sindacale stipulato a norma dei commi precedenti del suddetto articolo; la seconda, disposta dal comma 5, relativa ai casi di imprese che versino in uno stato di crisi acclarata (fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria) in cui “la continuazione dell’attività non sia stata disposta o sia cessata” e “salvo che dall’accordo risultino condizioni di maggior favore”, comporta la disapplicazione dell’art. 2112 c.c..

Nel caso in commento si discuteva dell’applicabilità dell’art. 2112 c.c., primo comma, o della sussistenza dei requisiti per l’applicazione della normativa speciale.

In particolare, la convenuta acquistava una società – alle cui dipendenze lavorava il ricorrente – per cui era stata disposta la vendita, in quanto sottoposta ad amministrazione straordinaria e, contestualmente, siglava un accordo sindacale, ai sensi dell’art. 47 cit., comma 5, per il parziale mantenimento dei livelli occupazionali, e con il quale si concordava il transito di una parte dei dipendenti, ma non del ricorrente.

Il Giudice, quindi, verifica dapprima la legittimità dell’accordo sindacale, al fine di verificare l’effettiva sussistenza in capo al ricorrente del diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro con la cessionaria.

Il Tribunale, aderendo all’orientamento prevalente della Cassazione (sent. n. 1383 del 2018; n. 2523 del 2016; n. 23473 del 2014) giunge alla conclusione che l’accordo in esame risulta essere nullo (ex art. 1418 c.c.) sotto il profilo contemplato dal comma 5 cit., stante l’assenza dei presupposti ivi previsti: in particolare, in relazione all’accordo in questione, “va esclusa la riconducibilità … all’ipotesi contemplata dal comma 5 dell’art. 47 L. n. 428 del 1990, atteso che all’epoca della relativa conclusione non si erano ancora avverati i presupposti previsti dalla suddetta norma per la valida conclusione dell’intesa”, ovverosia, nella fattispecie, la dichiarazione della cessazione dell’attività della cedente.

Parimenti, il Giudicante ritiene l’accordo nullo anche ai sensi del comma 4 bis della medesima Legge, poiché è necessario, ai fini della validità dello stesso, che “i requisiti soggettivi indicati dall’accordo, circa il mantenimento parziale dell’occupazione, non siano generici e tali da non rendere, nemmeno in astratto possibile l’individuazione dei soggetti che hanno diritto al trasferimento”, come, invece, è accaduto nel caso in esame.

Dott. Giorgio Iorio

Dott.ssa Marialaura Forte

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