TRASFERIMENTO D’AZIENDA, AUTONOMIA FUNZIONALE DEL RAMO – Corte di Appello, 23 ottobre 2015, pres. est. Centofanti

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L’autonomia funzionale del ramo d’azienda non può essere negata nei casi in cui l’esercizio dell’impresa ceduta si avvalga delle sinergie, che l’appartenenza di cedente e cessionario al medesimo gruppo societario sia in grado di sviluppare. La comune appartenenza di più imprese ad un gruppo societario si caratterizza, tra l’altro, per un’integrazione dei fini e delle strategie di ciascuna di esse, non meno che per una razionalizzazione dei servizi di cui le medesime di avvalgono, spesso resi dall’una anche a beneficio delle altre, eventualmente in regime di appalto. Siffatta interdipendenza, naturale corollario della logica di gruppo, non incide sulla ravvisabilità dell’autonomia funzionale, ai fini dell’operatività dell’art. 2112, quinto comma, c.c.

Trasferimento d’azienda – autonomia funzionale del ramo d’azienda – prosecuzione dei rapporti di lavoro – gruppi societari – ccnl
art. 2112 c.c. – art. 32 D.Lgs. n. 276/2003 – art. 47 l. n. 428/1990

Con sentenza n. 10997/2012 il Tribunale di Roma si pronunciava in merito al giudizio instaurato da tre lavoratrici le quali lamentavano la mancata conformità ai requisiti richiesti dall’art. 2112 c.c. del trasferimento del ramo d’azienda al quale erano state adibite. A dire di parte ricorrente, infatti, il ramo mancava di un’organizzazione autonoma, sia sotto il profilo tecnico-produttivo sia sotto il profilo gestionale-finanziario.

Peraltro, le ricorrenti denunciavano la violazione dell’art. 2112 c.c. anche laddove prevede l’obbligo per l’acquirente di applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi vigenti alla data del trasferimento.

Entrambe le società (cedente e cessionaria) resistevano in giudizio sviluppando una comune linea difensiva tesa a contestare integralmente la fondatezza del suddetto ricorso.

Esperita l’istruttoria, l’adito Tribunale respingeva il ricorso asserendo che la cessione in parola aveva riguardato un’articolazione funzionalmente autonoma di una preesistente attività economica organizzata essendo la parte ceduta dotata di mezzi, strutture e personale suo proprio ed essendo essa stabilmente destinata alla fornitura di servizi, in ambito informatico, che ben potrebbero costituire, di per sé, l’oggetto sociale di un’autonoma persona giuridica.

Quanto poi alla doglianza relativa alla diminuzione della retribuzione, il giudice di prime cure, rilevava che la cessione legittimamente aveva comportato l’applicazione della contrattazione collettiva vigente presso il cessionario che, peraltro, aveva comportato la riduzione del concreto numero settimanale di ore lavorate dalle ricorrenti.

Con la sentenza in commento la Corte di Appello di Roma ha confermato la declaratoria resa dal giudice di prime cure atteso il riconoscimento della legittimità della cessione del ramo in contestazione.

Il Collegio affronta, dunque, la questione dell’accertamento dell’esistenza dell’articolazione funzionalmente autonoma, quale condizione per l’applicazione dell’art. 2112 c.c., evidenziando come il Tribunale romano abbia fatto corretta applicazione dei principi di diritto espressi dalla S.C. in forza dei quali, detto accertamento presuppone la valutazione di una pluralità di elementi rilevatori da apprezzare nel loro complesso anche in relazione al tipo di impresa (ex Cass. 4601/2015).

La Corte di Appello parte, quindi, dalla ricostruzione normativa della fattispecie anche alla luce della disciplina dettata in materia dall’Unione Europea secondo cui “è considerato come trasferimento quello di un’entità economica che conserva la propria identità intesa come un insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica sia essa essenziale o accessoria” (art. 1, n. 1, direttiva 2001/23).

Pertanto, il criterio dell’autonomia funzionale del ramo d’azienda ceduto consente di scongiurare ipotesi in cui le operazioni di trasferimento siano volte ad una forma incontrollata di espulsione di personale, non costituendo requisito indispensabile la preesistenza dello stesso. Infatti, la Corte di Appello romana – aderendo all’orientamento giurisprudenziale secondo cui a seguito della modifica apportata dal D.Lgs. n. 276/2003 l’autonomia non deve essere preesistente, ma solo effettivamente sussistente al momento del trasferimento – ha evidenziato che non costituisce requisito indispensabile per configurare la legittima cessione la preesistenza del ramo ceduto. A dire del Collegio, infatti, tale assunto troverebbe conferma sia nel novellato testo dell’art. 2112 c.c. sia nella direttiva europea sovra citata.

Chiarito, quindi, che il requisito della preesistenza non rileva ai fini della legittimità della cessione, il Collegio specifica che il ramo d’azienda deve rappresentare un’entità organizzata, diretta alla produzione di un bene o di un servizio secondo lo schema dettato dall’art. 2082 c.c., ossia una porzione di impresa dotata di stabilità ed economicità, intesa, quest’ultima come attitudine a generare un profitto.

Ed infatti, contrariamente a quanto sostenuto dalle appellanti, l’autonomia funzionale non può essere negata nell’ipotesi in cui l’esercizio dell’impresa ceduta si avvalga delle sinergie esistenti tra società appartenenti al medesimo gruppo societario, nella specie, cedente e cessionario.

La comune appartenenza di più imprese ad un gruppo societario si caratterizza per un’integrazione dei fini e delle strategie di ciascuna di esse la cui interdipendenza, fisiologicamente connessa alla logica di gruppo, non incide sulla ravvisabilità dell’autonomia funzionale, ai fini dell’operatività dell’art. 2112, quinto comma, c.c..

Poste tali premesse normative, la Corte di Appello appurava, una volta esperita l’istruttoria orale, l’esistenza di una struttura organizzata le cui attività si connotavano per omogeneità e per una ben precisa identità concettuale ed operativa nonché per idoneità a produrre profitti, riscontrando altresì l’indefettibile requisito del perseguimento di un determinato obiettivo.

Quanto poi alle doglianze relative all’applicazione del contratto collettivo che regolava il rapporto di lavoro presso l’azienda cedente, il Collegio ha statuito che tale contrattazione collettiva trova applicazione solo nell’ipotesi in cui l’impresa cessionaria non applichi alcun contratto collettivo, mentre, in caso contrario, la contrattazione collettiva dell’impresa cedente è sostituita immediatamente da quella applicata nell’impresa cessionaria anche se più sfavorevole ed anche con riferimento agli istituti retributivi (Cass. 10614/11 e 5882/10).

Federica Pisapia

* Di prossima pubblicazione su “Lavoro a previdenza oggi” (www.lpo.it)

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