SUSSISTENZA/INSUSSISTENZA DEL FATTO: UN NUOVO INTERVENTO DELLA CORTE DI LEGITTIMITÀ – Corte di cassazione, sez. lav., 13 ottobre 2015, n. 20540, rel. Cons. Roselli

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Non è plausibile che il Legislatore del 2012, riconoscendo la tutela reintegratoria solo in ipotesi di “insussistenza del fatto” posto a fondamento del licenziamento, abbia voluto riferirsi anche ai casi nei quali il fatto contestato, benché sussistente, sia tuttavia privo di rilevanza giuridica. Pertanto, l’assenza di qualsivoglia profilo di illiceità nella condotta contestata, equivalendo alla sua insussistenza materiale, dà luogo alla reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi dell’art. 18, 4° comma c.p.c.

Lavoro subordinato (Rapporto di) – Estinzione e risoluzione del rapporto: licenziamento – giusta causa – tutela reale – sussistenza/insussistenza del fatto contestato – fatto privo di illiceità – Reintegrazione.
Art. 18, 4° comma L. 20 maggio 1970, n. 300, così come modificato dalla L. 28 giugno 2012, n. 92.
La S.C., con la sentenza n. 20540 del 13 ottobre 2015, si è pronunciata, ancora una volta, sulla nota questione interpretativa circa la natura del “fatto” cui ha riguardo il 4° comma dell’art. 18 stat. lav., così come novellato dalla L. n. 92/2012.
Nel caso esaminato dalla suddetta pronuncia, la Corte d’appello di Milano, in accoglimento del ricorso proposto da una lavoratrice ai fini dell’accertamento dell’illegittimità del licenziamento disciplinare alla medesima intimato, aveva ordinato la reintegrazione della stessa nel posto di lavoro e condannato la società datrice al pagamento di un’indennità risarcitoria pari a dodici mensilità dell’ultima retribuzione, sul presupposto che i fatti di cui alla lettera di contestazione (consistiti: 1) nell’aver lamentato presso il superiore gerarchico dell’amministratore delegato comportamenti scorretti di quest’ultimo; 2) nell’aver preteso di fornire i chiarimenti richiestile dal direttore finanziario in ordine alla sua posizione all’amministratore delegato, anziché al direttore suddetto; 3) nell’essere venuta a conoscenza di informazioni circa l’intenzione dell’amministratore delegato di passare alle dipendenze di altra società mediante un accesso non autorizzato; 4) nel rifiuto di restituire il telefono portatile aziendale) non assumessero, in realtà, alcun rilievo disciplinare, risolvendosi in comportamenti, più che altro, “contrari alle regole di compostezza e degli usi mondani”, e non anche in atteggiamenti “vendicativi” e “persecutori”, di gravità tale da interrompere il legame fiduciario necessario ai fini della continuazione del rapporto di lavoro.
La S.C., dopo aver osservato che i fatti contestati alla lavoratrice erano stati dal Giudice d’appello correttamente ritenuti privi di alcun rilievo giuridico, perché, come detto, più che altro “espressivi di atteggiamenti … contrari alle regole di compostezza”, in quanto “dettati da acredine per l’interruzione non consensuale di un rapporto personale”, e comunque tali da non incidere negativamente sullo svolgimento dell’attività aziendale, circa la denunciata violazione degli artt. 18 stat. lav. e 2119 c.c. – in quanto solo ”la materiale insussistenza dei fatti addebitati, e non il difetto della giuridica rilevanza, avrebbe giustificato la tutela reintegratoria” – afferma che “non è plausibile che il Legislatore, parlando di insussistenza del fatto contestato, abbia voluto negarla nel caso di fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità”.
Infatti – continua la Corte – “la completa irrilevanza giuridica del fatto equivale alla sua insussistenza materiale, e dà perciò luogo alla reintegrazione ai sensi dell’art. 18, quarto comma, cit.”, costituendo invece questione totalmente estranea al caso in esame quella relativa alla disciplina applicabile qualora venga in rilievo la valutazione della proporzionalità “tra fatto sussistente” ma “di illiceità modesta, rispetto alla sanzione espulsiva”.

Elena Giorgi

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