SULL’OBBLIGO DI FRUIZIONE DEI RIPOSI COMPENSATIVI NELLA P.A. – Tribunale di Roma, Sezione Lavoro, 23 settembre 2016, n. 7900

toga Salerno

In materia di riposi compensativi deve ritenersi applicabile la disciplina di cui all’art. 5, comma 8, del D.L. n. 95 6.7.2012, convertito in L. n. 135 del 7.8.2012 secondo il quale i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, anche di qualifica dirigenziale, sono obbligati a fruire delle ferie, dei riposi e dei permessi non essendo consentita la corresponsione, nel caso di mancata fruizione, di trattamenti economici sostitutivi.

Il Tribunale di Roma, con sentenza del 25 settembre 2016, n. 7900, ha respinto il ricorso proposto da alcuni dipendenti di una pubblica amministrazione che, sul presupposto di aver maturato un consistente monte ore di riposi compensativi conseguenti ai turni di lavoro non goduti né più godibili stante l’intervenuto collocamento a risposo, ha chiesto la condanna della datrice di lavoro alla corresponsione del compenso sostitutivo dei predetti riposi non goduti.
Nello specifico i lavoratori, a sostegno della domanda avanzata, hanno sostenuto la inapplicabilità al caso di specie della disposizione di cui all’art. 5, comma 8, del D.L. 95/2016 poiché non espressamente riferita ai “riposi compensativi” e, nell’ipotesi in cui tale disposizione fosse ritenuta applicabile, la necessità di sollevare dinanzi alla Corte Costituzionale questione di legittimità costituzionale della disposizione in esame.
Il Tribunale, sul presupposto dell’applicabilità della disposizione di legge innanzi richiamata al caso prospettato e della infondatezza della questione di legittimità costituzionale, ha rigettato il ricorso sulla scorta dell’interpretazione letterale del citato comma 8.
In particolare, quanto alla questione dell’applicabilità della disciplina invocata dall’Amministrazione a sostegno dell’infondatezza delle pretese avversarie, il Giudice ha affermato che la norma si riferisce all’istituto dei “riposi” in generale, senza operare distinzione alcuna, con la conseguenza che la disciplina deve ritenersi riferita anche ai riposi compensativi.
Con specifico riferimento, poi, alla questione di legittimità costituzionale, il Tribunale ha affermato che la disposizione in esame non pregiudica in alcun modo il principio sancito dall’art. 36 della Costituzione limitandosi a regolamentare il godimento dei permessi.
Sulla questione in esame si registra un contrastante orientamento della giurisprudenza di merito, anche se la conclusione cui è pervenuto il Tribunale è in linea con una recente sentenza del Tribunale di Roma (n. 2395 del 10.3.2016), contrasto destinato a comporsi in ragione del recente intervento della Corte Costituzionale (sentenza n. 95/2016 depositata in data 6.5.2016) che ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale del comma 8 citato, fornendone la corretta interpretazione.
Nello specifico la Corte, esaminando il dato letterale, ha rilevato come il legislatore abbia correlato il divieto di corrispondere trattamenti sostitutivi a fattispecie in cui la cessazione del rapporto di lavoro è riconducibile a una scelta o a un comportamento del lavoratore (dimissioni, risoluzione) o ad eventi (mobilità, pensionamento, raggiungimento dei limiti di età), che comunque consentano di pianificare per tempo la fruizione delle ferie e di attuare il necessario contemperamento delle scelte organizzative del datore di lavoro con le preferenze manifestate dal lavoratore in merito al periodo di godimento delle ferie.
Partendo da tale presupposto, la Corte ha ritenuto il dato testuale coerente con le finalità della disciplina restrittiva finalizzata a reprimere il ricorso incontrollato alla “monetizzazione” delle ferie non godute e a riaffermare la preminenza del godimento effettivo delle ferie, per incentivare una razionale programmazione del periodo feriale e favorire comportamenti virtuosi delle parti nel rapporto di lavoro.
Sempre la Corte ha rilevato, poi, come la prassi amministrativa e la magistratura contabile si siano espresse escludendo dall’àmbito applicativo del divieto le vicende estintive del rapporto di lavoro che non chiamino in causa la volontà del lavoratore e la capacità organizzativa del datore di lavoro ed ha affermato che “Così correttamente interpretata, la disciplina impugnata non pregiudica il diritto alle ferie, come garantito dalla Carta fondamentale (art. 36, comma terzo), dalle fonti internazionali (Convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro n. 132 del 1970, concernente i congedi annuali pagati, ratificata e resa esecutiva con legge 10 aprile 1981, n. 157) e da quelle europee (art. 31, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007; direttiva 23 novembre 1993, n. 93/104/CE del Consiglio, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, poi confluita nella direttiva n. 2003/88/CE, che interviene a codificare la materia).”
“Tale diritto inderogabile” prosegue la Corte “sarebbe violato se la cessazione dal servizio vanificasse, senza alcuna compensazione economica, il godimento delle ferie compromesso dalla malattia o da altra causa non imputabile al lavoratore.”

Anna Buttafoco

*Di prossima pubblicazione su “Lavoro e previdenza oggi” (www.lpo.it)

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