Somministrazione a tempo indeterminato: nullità del licenziamento per discriminazione di genere e, comunque, illegittimità del recesso per presunta, e non provata, mancanza di occasioni di lavoro – TRIBUNALE VELLETRI, sentenza del 1.12.2020 – Est. Falcione, M. Srl (avv. F. Giammaria) c. N. V. (avv. M. Salvagni)

Rapporto di lavoro – Somministrazione a tempo indeterminato – Licenziamento per gmo – Mancanza occasioni di lavoro – Illegittimità del recesso  – Discriminazione di genere – Licenziamento nullo – Reintegra – Indennità di disponibilità – Inapplicabilità del parametro dell’indennità di disponibilità –Risarcimento parametrato all’effettiva retribuzione.

Il Tribunale di Velletri ha reintegrato una lavoratrice riconoscendo che il licenziamento intimatole fosse illegittimo per insussistenza del giustificato motivo oggettivo e nullo in quanto discriminatorio.

La lavoratrice era stata assunta a tempo indeterminato da una società di somministrazione di lavoro mediante contratto per prestazione di lavoro in somministrazione ed era stata assegnata in missione a tempo indeterminato presso l’utilizzatore, con mansioni di operatore di magazzino/carrellista.

La società, una prima volta, aveva estromesso la lavoratrice dalla missione a tempo indeterminato mentre si trovava in stato di gravidanza in astensione anticipata dal lavoro per maternità a rischio, collocandola poi in disponibilità. Successivamente, la dipendente veniva riassegnata con una seconda missione presso il medesimo utilizzatore ma con contratto a tempo determinato. Nel lasso di tempo relativo a questa seconda missione, la ricorrente usufruiva di congedi parentali avendo una figlia di età inferiore ad un anno. La dipendente, tuttavia, alla scadenza naturale del termine, veniva nuovamente collocata in disponibilità fino alla data del licenziamento.

La società formalmente adduceva, quale motivo di licenziamento, l’assoluta impossibilità di ricollocare la lavoratrice presso altri utilizzatori, nonostante i ripetuti tentativi effettuati nell’asserito pieno rispetto della procedura prevista dal CCNL di riferimento; sussiste, infatti, in capo all’agenzia la possibilità di predisporre un percorso formativo per implementare il profilo professionale della lavoratrice al fine di facilitarne il reinserimento nel mercato del lavoro.

Dall’espletata istruttoria orale emergeva, però, che la società non aveva correttamente adempiuto all’obbligo contrattuale di reperire altre occasioni di impiego a fronte della comprovata esistenza di numerose di esse con il cliente utilizzatore presso cui la lavoratrice era già stata in missione. Al contrario, tutte le proposte di impiego prospettate alla ricorrente erano apparse non conformi al suo profilo professionale o, addirittura, con luoghi di esecuzione della prestazione troppo distanti dal suo domicilio.

Il Tribunale, pertanto, allo stato delle risultanze istruttorie, ha accertato l’illegittimità del recesso per insussistenza del giustificato motivo oggettivo, in quanto la società non ha pienamente provato, né che gli asseriti e contestati tentativi di ricollocazione presso il cliente non abbiano dato esito positivo per cause indipendenti dalla propria condotta, né la presunta impossibilità di ricollocare la lavoratrice presso società terze; ciò malgrado la produzione in giudizio di offerte lavorative pubblicate sul sito Infojob, nonché sul sito della società, collimanti o compatibili con la sua pregressa esperienza lavorativa.

In accoglimento della tesi prospettata dalla lavoratrice, è stata altresì dichiarata la nullità del licenziamento in quanto discriminatorio.

Il Tribunale, in particolare, ha accertato che la dipendente era stata discriminata in quanto donna e madre di un minore di 3 anni, non offrendole le stesse opportunità di collocamento sul mercato del lavoro che aveva proposto agli altri lavoratori di sesso maschile. Tale circostanza è emersa in seguito alle testimonianze di altri lavoratori dipendenti dell’utilizzatore che hanno confermato che la società, nel periodo in cui la lavoratrice era stata collocata in disponibilità, aveva continuato a somministrare all’utilizzatore unicamente personale di sesso maschile e nessuna altra donna era stata coinvolta nelle attività di formazione in vista di una potenziale missione presso il medesimo utilizzatore.

Pertanto, il Tribunale ha ritenuto raggiunta la prova in merito alla nullità del recesso anche tramite l’utilizzo delle presunzioni ex art. 2729 c.c., secondo quanto statuito dall’art. 4 del D.lgs. n. 215/2003 e secondo il regime probatorio semplificato ribadito e specificato nell’ambito dal D.lgs. n. 150/2011, art. 28, co. 4.

Uno degli aspetti più interessanti della vicenda, infine, attiene alla modalità di determinazione dell’indennità risarcitoria da corrispondere alla lavoratrice per il periodo dalla data del licenziamento fino alla data della reintegra. La Società, infatti, aveva richiesto di commisurare l’indennità risarcitoria di cui all’art. 18 Stat. Lav. alla misura minima dell’indennità di disponibilità.

Il Tribunale, tuttavia, ha ritenuto di aderire all’orientamento recentemente espresso dalla Suprema Corte (Corte di Cassazione n. 29105/2019) secondo cui, nelle ipotesi di licenziamento illegittimo, tale indennità debba essere calcolata prendendo come parametro di riferimento non l’indennità di disponibilità percepita dal lavoratore al momento del licenziamento, bensì la retribuzione percepita presso l’utilizzatore nel caso di accertata indebita interruzione della missione (“in tema di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato, l’ultima retribuzione globale di fatto, cui dev’essere commisurata l’indennità risarcitoria in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo dichiarato illegittimo, deve essere parametrata al tipo di danno subito dal lavoratore, “id est” la prosecuzione della missione presso l’utilizzatore, nel caso di indebita interruzione della stessa, ovvero la prosecuzione della disponibilità del lavoratore, nel caso in cui la cessazione del rapporto con l’utilizzatore non sia imputabile all’agenzia; ne consegue che il risarcimento corrisponderà, nel primo caso, alla retribuzione percepita presso l’utilizzatore, e, nel secondo caso, all’indennità di disponibilità percepita dal lavoratore al momento del licenziamento”).

* Rosalina Panetta

Avvocato in Roma

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