SEQUESTRO “ANTIMAFIA” E GIUDICI COMPETENTI IN MATERIA DI LAVORO – Tribunale di Roma, Sezione Lavoro, 26 gennaio 2015, n. 32105, giud. Marrocco

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Nel caso di datore di lavoro sottoposto alla misura cautelare di prevenzione del sequestro ex d.lgs. 159/2001 (c.d. Codice delle leggi antimafia) spetta al Giudice penale – nella persona del giudice delegato nominato nell’ambito della misura adottata – la competenza a pronunciarsi sulle domande di condanna a contenuto patrimoniale avanzate da un lavoratore, mentre al Giudice del lavoro permane la competenza ad emettere pronunzie di accertamento, quale, ad esempio, quella sulla legittimità di un licenziamento, stanti le evidenti analogie tra il procedimento di cui al detto Decreto e la procedura fallimentare, entrambe postulanti un’immobilizzazione patrimoniale a garanzia di interessi superindividuali (massima a cura di Serena Mancini)

La sentenza in esame muove da una nota vicenda penale. Questo è il titolo di un articolo pubblicato, in prima pagina, dal quotidiano La Repubblica del 26 maggio 2014: “INCHIESTA GRANDI EVENTI: la Guardia di Finanza sequestra il Salaria Sport Village di Anemone. Una misura di prevenzione legata ai processi per reati tributari e di corruzione”.
In questa occasione, il Tribunale del lavoro di Roma ha determinato la ripartizione della competenza tra sé e il Giudice penale, seguendo lo stesso iter logico-giuridico utilizzato per individuare il foro competente – per le domande rispettivamente a contenuto patrimoniale e sostanziale – tra Giudice del lavoro e il Tribunale fallimentare, sulla base delle evidenti analogie tra la misura preventiva del sequestro ex D.lgs. 159/2011 e la procedura fallimentare.
Venendo alla ricostruzione dei fatti, una lavoratrice, dipendente di una struttura in qualità di direttrice del nuoto, viene licenziata per cessazione dell’attività, quando, in realtà, alcuni mesi prima era stato concluso un negozio di affitto d’azienda e la stessa, all’epoca del licenziamento, era assente per maternità.
La ricorrente chiedeva, pertanto, che venisse accertata e dichiarata la nullità del licenziamento, con conseguente immediata reintegrazione nel posto di lavoro e ricostruzione del relativo rapporto e condanna al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento fino alla data dell’effettiva reintegrazione.
Il Giudice, in limine litis, osserva che “il documentato assoggettamento di Salaria Nuoto SSD s.r.l. alla misura del sequestro ex d.lgs. 159/2011 da parte del Tribunale penale di Roma comporta senza dubbio che le – eventuali – ragioni attoree di credito vantate nei confronti di tale ente debbano essere accertate davanti al Giudice delegato nominato nell’ambito della misura cautelare adottata, chiaro in tal senso il disposto degli artt. 52 e ss.”. Il Come noto, il Codice delle leggi antimafia (D.lgs. 159/2011), nell’intento di riunificare, nell’unica sede del procedimento di prevenzione, tutte le questioni relative ai beni sottoposti a sequestro/confisca, ha previsto, agli artt. 52 e seguenti, una disciplina organica per la risoluzione delle vicende relative ai terzi, siano essi titolari di diritti reali o personali di godimento sui beni, nonché titolari di diritti di credito.
Pertanto, come osserva il Giudice, sulla domanda attorea avente contenuto patrimoniale, deve ritenersi competente in merito esclusivamente il Tribunale penale di Roma, nella persona del giudice delegato nominato nell’ambito di detta misura cautelare.
Spetta invece, al Giudice del lavoro pronunciarsi sulla domanda relativa alla legittimità del licenziamento, “trattandosi di pronuncia di accertamento presupposta anche dalla richiesta di reintegrazione nel posto di lavoro avanzata da parte attrice”.
Il Giudice giunge a tale conclusione dopo aver ravvisato “evidenti analogie del procedimento ex d.lgs. 159 e la procedura fallimentare, entrambe postulanti un’immobilizzazione patrimoniale a garanzia d’interessi superindividuali”. Infatti – tenendo a mente “il principio” della Suprema Corte (Cass. Sezione Lavoro, n. 7129/2011), relativo ai criteri di ripartizione della competenza con riferimento alle domande di impugnazione del licenziamento, secondo il quale “ove il lavoratore abbia agito in giudizio chiedendo, con la dichiarazione di illegittimità o inefficacia del licenziamento, la reintegrazione nel posto di lavoro nei confronti del datore di lavoro dichiarato fallito, permane la competenza funzionale del Giudice del lavoro, in quanto la domanda proposta non è configurabile come mero strumento di diritti patrimoniali da far valere sul patrimonio del fallito, ma si fonda sull’interesse del lavoratore a tutelare la sua posizione all’interno dell’impresa fallita, sia per l’eventualità della ripresa dell’attività lavorativa sia per tutelare i connessi diritti non patrimoniali, e i diritti previdenziali, estranei all’esigenza della par condicio creditorum” – dichiara che esso “possa valere anche con riguardo all’imprenditore sottoposto a misura di prevenzione”.
Inoltre, osserva il Giudice, una pronuncia sul licenziamento non precluderebbe una valutazione, da parte degli organi della procedura di prevenzione, sulla compatibilità del rapporto di lavoro rispetto alle finalità della misura di prevenzione, essendo chiaro il disposto dell’art. 56 del D.lgs. in questione, il quale peraltro ricalca il contenuto dell’art. 72 L. Fall..
Queste disposizioni, entrambe rubricate “Rapporti pendenti” statuiscono, infatti, che, se al momento dell’esecuzione del sequestro/dichiarazione di fallimento un contratto è ancora ineseguito o non compiutamente eseguito da entrambe le parti, “l’esecuzione del contratto rimane sospesa fino a quando l’amministratore giudiziario/curatore, previa autorizzazione del giudice delegato/del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del proposto/fallito assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di risolvere il contratto…”.
Concludendo, il Giudice del lavoro ha deciso la causa, “spacchettando” le domande della ricorrente e, cioè, riconoscendosi competente a decidere quella relativa all’illegittimità del licenziamento, mentre si dichiara incompetente, in favore del Tribunale penale di Roma, “quanto alle domande di condanna a contenuto patrimoniale avanzate” nei confronti dell’originaria datrice di lavoro, sottoposta a sequestro.

Serena Mancini

* Di prossima pubblicazione su “Lavoro a previdenza oggi” (www.lpo.it)

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