RIFORMA PENSIONISTICA FORNERO E RAPPORTO DI LAVORO GIORNALISTICO: INQUADRAMENTO DELL’ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA DEI GIORNALISTI ITALIANI E CONFIGURABILITA’ DI UN DIRITTO ALLA PROSECUZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO SINO A SETTANTA ANNI DI ETA’ – Suprema Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, 26 maggio – 4 settembre 2015, n. 17589, pres. Rovelli, rel. Mammone.

cassazione-agenzialegale

Riforma pensionistica c.d. “Fornero” e questioni interpretative: la Suprema Corte di Cassazione interviene, a Sezioni Unite, per comporre il contrasto giurisprudenziale formatosi presso i Tribunali e le Corti del merito e poi protrattosi dinnanzi alle Sezioni Semplici del Supremo Collegio, avente ad oggetto alcune questioni interpretative del d.l. n. 201 del 2011, convertito con modificazioni in legge n. 214 del 2011, originatesi con particolare riguardo al rapporto di lavoro giornalistico.

Licenziamento – Età pensionabile – Enti previdenziali privatizzati – Applicabilità art. 24, comma 24, d.l. n. 201/2011 – Prosecuzione del rapporto – Applicabilità art. 24, comma 4, d.l. n. 201/2011 – Diritto potestativo – Infondatezza
art. 24, commi 4 e 24, d.lgs. n. 201/2011 – Allegato A, d.lgs. n. 509/1994 – art. 18 l. n. 300/1970
Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazioni, con sentenza 26 maggio – 4 settembre 2015, n. 17589, sono intervenute al fine di dirimere il contrasto giurisprudenziale formatosi con riguardo a quale tra le discipline contenute nel d.l. n. 201 del 2011 – convertito con modificazioni in legge n. 214 del 2011 – debba applicarsi agli Enti previdenziali privatizzati e, in particolare, all’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani «Giovanni Amendola» (INPGI), così come ai suoi iscritti.
Se, cioè, debbano trovare applicazione “le misure di contenimento della spesa pensionistica previste dall’art. 24, c. 4 … dettato per la regolazione della pensione di vecchiaia dei lavoratori la cui pensione è liquidata a carico dell’AGO e delle forme sostitutive della medesima o della gestione separata”; ovvero se debbano trovare applicazione le disposizioni di cui al successiva comma 24 del citato art. 24 “che per gli enti di previdenza privatizzati ai sensi del d.lgs. n. 509 del 1994 prevede che l’obiettivo di contenimento sia adottato dagli enti stessi grazie alla loro autonomia gestionale, mediante l’adozione di misure idonee ad assicurare l’equilibrio di bilancio”.
Quindi, dopo aver correttamente inquadrato tale questione preliminare, le Supreme Sezioni Unite sono state chiamate a risolvere l’ulteriore, consequenziale, questione “se, in forza della formulazione dell’art. 24, c. 4, all’assicurato possa riconoscersi uno spazio di scelta per formulare delle opzioni individuali di permanenza nell’attività lavorativa per prolungare la durata del rapporto di lavoro oltre l’età prevista dalla disciplina di settore per il collocamento a riposo”.
Orbene, così riassunte le quaestiones iuris sottoposte all’attenzione dei giudici di legittimità, il Supremo Collegio, nella sua massima composizione, ha enunciato, da un lato, il principio per cui “ai fini dell’applicazione delle disposizioni in materia pensionistica previste dall’art. 24 del d.l. 6.11.11 n. 201, conv. dalla l. 22.12.11 n. 214, recante disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici, la disciplina applicabile agli iscritti all’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani (INPGI) è quella assicurata dalle misure adottate dall’Istituto stesso ai sensi dell’art. 24, c. 24, dello stesso decreto legge n. 201, al pari di quanto previsto per gli iscritti agli altri enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza privatizzati ai sensi del d.lgs. 30.06.94 n. 509, come tali indicati nella tabella a quest’ultimo allegata”.
E, d’altro, lato il principio per cui “la disposizione dell’art. 24, c. 4, dello stesso d.l. 6.12.11 n. 201, conv. dalla l. 22.12.11 n. 214, non attribuisce al lavoratore il diritto potestativo di proseguire nel rapporto di lavoro fino al raggiungimento del settantesimo anno di età, in quanto la norma non crea alcun automatismo ma solo prefigura la formulazione di condizioni previdenziali che costituiscano incentivo alla prosecuzione dello stesso rapporto per un lasso di tempo che può estendersi fino a settanta anni”.
L’enunciazione di entrambi i principi di diritto segue una motivazione connotata da un severo rigore metodologico che può essere così riassunta. Prima ancora, però, si procederà ad una breve sintesi della fattispecie concreta che è stata posta all’esame della Suprema Corte.
Ebbene, tale fattispecie ha ad oggetto l’impugnazione del licenziamento intimato da una nota Società Radiotelevisiva ad un proprio dipendente giornalista in occasione del raggiungimento del 65esimo anno di età. Ciò anche ai sensi dell’art. 33 del Contratto Nazionale di Lavoro Giornalistico (CNLG), secondo cui “l’azienda può risolvere il rapporto di lavoro quando il giornalista abbia raggiunto il 65° anno di età”.
Orbene, la Suprema Corte di Cassazione, per dirimere la suesposta controversia, ha, anzitutto, ricostruito brevemente il quadro normativo applicabile al caso specifico. Quindi, i giudici di legittimità hanno conferito preminente rilievo a ciò che, mentre con l’art. 24, comma 4, ult. cit. il legislatore ha inteso fare riferimento alle “forme esclusive e sostitutive” facenti capo al regime dell’Assicurazione Generale Obbligatoria (AGO), con il successivo comma 24 il legislatore ha inteso, invece, fare riferimento agli “enti e … forme gestorie di cui … al decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, e al decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103”.
Enti, quest’ultimi, tra i quali rientra, per effetto dell’Allegato A del d.lgs. n. 509 del 1994 anche l’INPGI. E così, stante “la rilevata divaricazione, coerente con i principi generali dell’ordinamento previdenziale, al punto da prevedere [n.d.r. il legislatore] due differenti sedes materiae”, sarebbe illogico operare, come pure sembrerebbe essere avvenuto presso alcuni Tribunali e Corti del merito, una “commistione” tra le due discipline, quasi a volerle considerare «fungibili» tra loro.
Commistione che, come rilevato dai giudici di legittimità, “sarebbe tanto più grave ove si consideri”, non da ultimo, “che i due sistemi previdenziali sono fondati su principi organizzativi diversi, essendo le contribuzioni, i requisiti soggettivi e le modalità di godimento delle prestazioni per l’AGO fissati direttamente per legge, e per gli enti privatizzati rimessi ai rispettivi statuti e regolamenti, seppure sotto la vigilanza dell’Autorità centrale”.
Peraltro, proseguiva il Supremo Collegio, l’art. 24, comma 4, ult. cit. “non attribuisce al lavoratore un diritto di opzione per la prosecuzione del rapporto di lavoro oltre i limiti previsti dalla normativa di settore”, né la medesima norma di legge “attribuisce al lavoratore alcun diritto potestativo, in quanto la norma non crea alcun automatismo ma solo prefigura la formulazione di condizioni previdenziali che costituiscano incentivo [n.d.r. “è incentivato”] alla prosecuzione del rapporto di lavoro per un lasso di tempo che può estendersi fino a settanta anni”.
Ne deriva, pertanto, che il riferimento all’applicabilità del regime di tutela previsto dall’art. 18 della legge n. 300 del 1970 e successive modificazioni è destinato a concretizzarsi “solo nel caso che le parti abbiano consensualmente ritenuto di procrastinare la durata del rapporto, in presenza delle condizioni di adeguamento pensionistico fissate dallo stesso c. 4”.

Francesco Marasco

* Di prossima pubblicazione su “Lavoro a previdenza oggi” (www.lpo.it)

Related News

Leave a reply