L’INDIVIDUAZIONE DEL “DIES A QUO” NELLA MANIFESTAZIONE DELLA MALATTIA PROFESSIONALE AI FINI DEL DECORSO DEL TERMINE TRIENNALE DI PRESCRIZIONE – Corte di Appello di Roma n. 909 del 15 aprile 2020 – Pres. R. Brancaccio – rel. R. Bonanni

giustizia

Il diritto del lavoratore del riconoscimento della malattia professionale INAIL, sorge quando ricorre un duplice presupposto: 1) che la denuncia venga effettuata entro il triennio dalla sua manifestazione; 2) che sia possibile ricondurre la malattia al lavoro svolto.

La giurisprudenza di legittimità chiarisce poi che il concetto giuridico di manifestazione della malattia non ha valenza meramente oggettiva, ma è molto più complesso, richiedendo in pratica un accertamento ad hoc, ovvero quello relativo all’esistenza dell’oggettiva possibilità che il lavoratore possa (o meno) aver avuto modo di acquisire congrua consapevolezza della malattia. Ciò con particolare riferimento agli imprescindibili caratteri di professionalità ed indennizzabilità della stessa. Tale parametro giurisprudenziale di verifica – del giusto grado di raggiungimento di una consapevole manifestazione della malattia – possiede peraltro carattere generale ed oggettivo e pertanto rifugge da ogni valutazione inerente alla sfera individuale e soggettiva del lavoratore (es. grado di cultura, tipo di lavoro ecc. …). Dunque, nel caso di malattia che vada “…funzionalmente a sovrapporsi agli esiti di una patologia preesistente che egli sapeva di essere di origine extralavorativa…” il lavoratore ben potrebbe non avere avuto “…contezza della natura professionale della patologia denunciata…”.

Previdenza sociale – Malattia professionale – denuncia – prescrizione del diritto – concetto giurisprudenziale della manifestazione della malattia – consapevolezza del lavoratore

Art. 112 T.U. n. 1124/1965 – art. 2935 c.c.

In data 16.05.2018 l’INAIL impugnava la sentenza del Tribunale di Velletri n. 509 del 2018 che riconosceva l’origine lavorativa della patologia denunciata dal sig. P.G. (“ipoacusia neurosensoriale di grado medio”) con contestuale condanna a corrispondergli il relativo indennizzo.

L’istituto assicurativo contestava che il giudice di prime cure non avesse attentamente considerato l’eccezione di prescrizione del diritto dell’assicurato, seppur tempestivamente sollevata.

Infatti il giudice di primo grado aveva rigettato l’eccezione di prescrizione, affermando che “la prima diagnosi della patologia denunciata…risale al 27 giugno 2001” e che non vi sono elementi dai quali poter desumere che l’interessato avesse contezza dell’origine professionale della malattia “sindrome menieriforme destra dalla quale era affetto e per la quale ha subito un intervento chirurgico…”. Per cui l’INAIL – in sede di gravame – insiste sul punto, sostenendo che le diverse circostanze di fatto che il medesimo lavoratore aveva riportato nel ricorso introduttivo della causa, dimostrino proprio il contrario, ossia la raggiunta consapevolezza dello stesso, tant’è che “ fin dal 1991 lavorava in un ambiente rumoroso per 10 ore al giorno e per 5 giorni a settimana; che nel 2012 il medico competente gli aveva prescritto degli otoprotettori perché esposto a rumore e vi era stato un cambiamento delle mansioni; fin dal 2001 era stato sottoposto ad un intervento chirurgico per problemi alle orecchie, ed aveva avuto conferma della esistenza e della gravità della sua patologia con successivi esami audiometrici del 2004, 2010, 2011 e 2012 né erano state comprovate altre fonti di rischio extra-lavorativo a cagione della sua patologia”.

Pertanto l’INAIL chiedeva la riforma della sentenza impugnata ed il rigetto dell’iniziale domanda attorea, nonché in subordine l’eventuale riduzione dell’indennizzo all’uopo stabilito.

La Corte di Appello di Roma, dopo aver esaminato il caso, ritiene fondato il rilievo di parte appellata, ovvero che prima del 2014 il lavoratore non aveva contezza della natura professionale della patologia denunciata, atteso che “la stessa andava funzionalmente a sovrapporsi agli esiti della patologia preesistente (sindrome di Meniere) che egli sapeva essere di origine extra-lavorativa”. Tale pensiero – prosegue il giudicante – viene avvalorato da quanto affermato dal Tribunale di Velletri, ossia che nella valutazione effettuata dal medico competente del 2010 – che ha rilasciato il certificato di idoneità alla mansione specifica – veniva prescritto un “generico obbligo” d’uso di otoprotettori ove necessarioDa ultimo ritiene che debba escludersi che il grado di conoscenze e di cultura nonché il tipo di attività svolta possano incidere sul momento di decorrenza della prescrizione triennale.

Per giungere a tale conclusione, il giudice di seconda istanza viene supportato dalla giurisprudenza della Suprema Corte sull’argomento, ed in particolare le sentt. nn. 598/2016 e 14281/2011 le quali rispettivamente affermano che “la manifestazione della malattia professionale, rilevante quale dies a quo per la decorrenza del termine triennale di prescrizione di cui all’art. 112 del DPR 1124/1965, può ritenersi verificata quando sussista la oggettiva possibilità che l’esistenza della malattia, ed i suoi caratteri di professionalità ed indennizzabilità siano conoscibili in base alla conoscenze scientifiche del momento, senza che rilevi il grado di conoscenze e di cultura dell’interessato”; e che “il termine di prescrizione…decorre dal momento in cui uno o più fatti concorrenti forniscano certezza dell’esistenza dello stato morboso o della sua conoscibilità da parte dell’assicurato in relazione anche alla sua eziologia professionale e al raggiungimento della misura minima indennizzabile”. Anche la recente Ordinanza della Cass. n. 1661 del 24/01/2020 fornisce utili ragguagli in merito prevedendo che “la manifestazione della malattia professionale rilevante ai fini dell’individuazione del dies a quo…può ritenersi verificata quando sussiste l’oggettiva possibilità che l’esistenza della malattia ed i suoi caratteri di professionalità ed indennizzabilità siano conoscibili dal soggetto interessato; tale conoscibilità, che è cosa diversa dalla conoscenza, altro non è che la possibilità che un determinato elemento sia riconoscibile sulla base delle conoscenze scientifiche del momento”. In sintesi veniva rigettato il ricorso atteso che “la malattia denunciata andava funzionalmente a sovrapporsi agli esisti della patologia preesistente (sindrome di Meniere) che egli sapeva di essere di origine lavorativa”, e quindi il lavoratore non poteva averne contezza.

Il giudice osserva infine che l’appellante abbia omesso di contestare in maniera specifica l’accertamento tecnico d’ufficio di primo grado, limitandosi a critiche generiche prive di alcun supporto probatorio.

Ebbene, nonostante la convinzione che le “ragioni di diritto” a sostegno del provvedimento finale si pongano in linea con i più recenti approdi giurisprudenziali, si ipotizza tuttavia che forse potrebbero residuare alcuni dubbi sulle “ragioni di fatto”. Ciò probabilmente è dovuto ad una visione incompleta dello svolgimento dei fatti di causa (attesa la non disponibilità della sentenza di primo grado).

*Avv. Michele Diana

** Di prossima pubblicazione su “Lavoro e previdenza oggi” (www.lpo.it)

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