LICENZIAMENTO DOPO CONTRATTO A TERMINE NATO ANTE, MA CON CONVERSIONE IN CONTRATTO A TEMPO INDETERMINATO DISPOSTA POST D.LGS. N. 23 DEL 2015 CON EFFETTO EX TUNC: SI APPLICA IL NUOVO SISTEMA? – Tribunale di Roma, ord., 27 marzo 2017, est. Giacomini

giudici di spalle

In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, intimato in data 10.05.2016 e impugnato con il rito cd. Fornero, dopo che in data 14.04.2016 era stata resa in favore del lavoratore poi licenziato in sede giudiziale una pronuncia di conversione (per nullità del termine apposto) del contratto di lavoro a tempo determinato stipulato in data 1.12.2011 e accertata la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a decorrere da tale data, trova applicazione il regime dettato dall’art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 23/2015. Per questa ragione, va disposto il mutamento del rito, per la prosecuzione del giudizio con il rito ordinario ai sensi dell’art. 409 e segg. c.p.c. e gli atti introduttivi dovranno essere integrati con la richiesta di tutela secondo il Jobs Act

Licenziamento per gmo – contratto di lavoro subordinato a tempo determinato – nullità del termine – conversione in contratto a tempo indeterminato – conversione disposta post d.lgs. 23/2015 – effetto ex tunc della conversione – art. 18 St. – rito Fornero – contratto a tutele crescenti – mutamento del rito – rito ordinario ex art. 409 c.p.c.

[Art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 23/2015; art. 1, commi 47 ss. l. n. 92/2012; art. 409 ss. c.p.c.]

L’interessante questione giunta al vaglio del Tribunale di Roma – sulla quale, a quanto consta, non sussistono al momento precedenti editi – attiene all’ambito di applicazione del nuovo regime di tutela in caso di licenziamento illegittimo, dettato dal D.Lgs. n. 23 del 2015. In particolare, la controversia trae origine da un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, intimato in data 10 maggio 2016 e impugnato con le forme del rito cd. Fornero, dopo che in data 14 aprile 2016 era stata disposta in sede giudiziale la conversione (per nullità del termine apposto) di un contratto di lavoro a tempo determinato, stipulato in data 1° dicembre 2011, in contratto di lavoro a tempo indeterminato a decorrere da quella data.
Si tratta di stabilire – preliminarmente rispetto alla soluzione delle questioni di merito sottese, relative alla legittimità o meno del licenziamento intimato – se la disciplina applicabile alla fattispecie debba essere quella dettata dall’art. 18 St., nel testo vigente riformato dalla l. n. 92/2012 (cd. Legge Fornero), oppure quella dettata dal D.Lgs. n. 23 del 2015, di introduzione del sistema delle cd. tutele crescenti, che trova applicazione soltanto nei riguardi dei lavoratori assunti a decorrere dalla sua entrata in vigore (art. 1, primo comma, D.Lgs. n. 23 del 2015. La data di entrata in vigore del decreto è quella del 7 marzo 2015). In relazione alla particolare ipotesi della conversione del contratto a termine, qui in esame, il suddetto decreto stabilisce che “Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano anche nei casi di conversione, successiva all’entrata in vigore del presente decreto, di contratto a tempo determinato o di apprendistato in contratto a tempo indeterminato” (art. 1, secondo comma, D.Lgs. n. 23 del 2015).

Ora, la parte ricorrente aveva ritenuto che il caso di specie non rientrasse nel campo di applicazione della suddetta disposizione, con conseguenza applicazione del regime sul licenziamento illegittimo dettato dall’art. 18 St. e del relativo rito cd. Fornero, con cui aveva adito il Tribunale di Roma.

Il Giudice adito, invece, ritiene che la fattispecie giunta al suo vaglio, in base a quanto prescritto dal citato art. 1, secondo comma, D.Lgs. n. 23 del 2015, sia da ricomprendere tra quelle a cui deve trovare applicazione il nuovo regime sanzionatorio in caso di licenziamento illegittimo delle cd. tutele crescenti, delineato dal medesimo D.Lgs. n. 23 del 2015. La scelta di una tale interpretazione, ad avviso del giudicante, si basa sul fatto nel caso di specie si sia dinanzi ad un’ipotesi di conversione successiva all’entrata in vigore del decreto, poiché la sentenza con la quale il contratto a tempo determinato della sig.ra M. è stato convertito in contratto a tempo indeterminato, è stata pronunciata in data 14 aprile 2016 (il decreto è entrato in vigore il 7 marzo 2015). Si osserva che a quella dichiarazione di nullità del termine apposto al contratto consegue una delle tipiche ipotesi di conversione, quella giudiziale. Il Giudice ritiene che il comma 2 del D.Lgs. 23/2015 abbia il chiaro fine di far rientrare all’interno della disciplina del Jobs Act fattispecie che, altrimenti, ne resterebbero escluse. Diversamente opinando – sempre ad avviso del giudicante – la norma sarebbe del tutto pleonastica ed inutile, poiché è evidente che tutti gli altri casi di conversione successiva di contratti già stipulati in vigenza di Jobs Act sarebbero comunque disciplinati dalla nuova normativa per effetto del comma 1, del medesimo art. 1.
L’ordinanza, di conseguenza, dispone il mutamento del rito, da Fornero a ordinario ai sensi dell’art. 409 e segg. c.p.c., assegnando altresì termine alle parti per l’eventuale integrazione degli atti introduttivi con la richiesta di tutela secondo il Jobs Act.
La decisione del Tribunale di Roma non pare poter risultare esente da critiche. In estrema sintesi vero è che il senso e la portata del secondo comma del menzionato art. 1, D.Lgs. n. 23/2015 è proprio quello di estendere l’ambito di applicazione declinato dal precedente primo comma, come testimoniato dall’espresso dettato della legge per cui “Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano anche ai casi di conversione” etc.
Tuttavia, il punto centrale nell’interpretazione dell’art. 1, secondo comma, D.Lgs. n. 23/2015 attiene al valore da attribuire al passaggio in cui la disposizione citata si riferisce ai “casi di conversione, successiva all’entrata in vigore del presente decreto”. La disposizione non risulta del tutto chiara, anzi appare anodina, tanto da consentire diverse letture, proprio in relazione all’ipotesi della conversione giudiziale.
Si rifletta, invero, sul fatto che in caso di “conversione” volontaria ad opera delle parti contrattuali (da ascrivere più propriamente ad un’ipotesi di trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato) non può esservi dubbio sul fatto che l’effetto si realizzi ex nunc, sicché il momento in cui le parti formalizzano la decisione di trasformare il contratto da tempo determinato in tempo indeterminato coincide con la decorrenza degli effetti, ovvero con la nascita del nuovo contratto tempo indeterminato. Invece, la questione si pone in caso di conversione giudiziale, giacché la pronuncia del giudice resa in una certa data produce la conversione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato a partire da un momento necessariamente antecedente alla stessa. Questo poi, può, a seconda dei casi, essere fissato dal momento in cui sarà stata violata la normativa sul contratto a tempo determinato (si tratta dei casi ora più numerosi), come nel caso di superamento del limite dei 36 mesi; di sesta proroga del contratto; di prosecuzione di fatto oltre il limite dei trenta o dei cinquanta giorni; di violazione degli intervalli necessari tra un contratto a termine e il successivo, oppure retroagire alla data della stipula del contratto di lavoro a tempo determinato, nato già privo dei requisiti di legge, come nel caso della mancanza di forma scritta, oppure stipulato in violazione degli espressi divieti fissati dalla legge.
Ne deriva, in questo caso, che dalla lettera della legge, invero, non si riesce immediatamente a comprendere se “successiva” (rispetto all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 23/2015) debba essere la pronuncia giudiziale che dispone la conversione, restando a tali fini indifferente il momento (precedente o successivo rispetto all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 23/2015) in cui si realizza l’effetto sostanziale del mutamento in contratto a tempo indeterminato (come ha ritenuto l’ordinanza in commento); oppure, come noi riteniamo, la norma debba essere intesa nel senso di riferirsi soltanto a ipotesi di conversione giudiziale, che abbia determinato il mutamento in contratto a tempo indeterminato in un momento successivo all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 23 del 2015.
Il discrimen, dunque, che ne fotografa il campo di applicazione, attiene all’eventualità che la conversione giudiziale (o trasformazione ad opera delle parti) abbia determinato il sorgere di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato in un momento, appunto, “successivo” all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 23/2015, ovvero posteriore al 7 marzo 2015.
A nostro avviso, il punto debole del ragionamento svolto dal Tribunale di Roma nell’ordinanza in commento, risiede proprio nell’efficacia ex tunc della pronunzia giudiziale che dispone la conversione del contratto a termine in contratto di lavoro a tempo indeterminato. Invero, se questa viene a operare in un momento precedente l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 23/2015, come nel caso de quo, allora sarebbe davvero difficile annoverare l’ipotesi tra quelle rientranti nelle “nuove assunzioni”.
Se invece, nella lettura che abbiamo proposto, si giunge a ritenere che il nuovo regime delle “tutele crescenti” possa trovare applicazione soltanto alla condizione che la conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato produca i suoi effetti dopo l’entrata in vigore del nuovo sistema, questo consente di superare anche i possibili problemi di eccesso di delega da cui l’art. 1, secondo comma, D.Lgs. n. 23/2015. Infatti, in questa prospettiva si può ritenere, pur con qualche forzatura, che nell’ipotesi delle “nuove assunzioni” (da ritenere quelle a tempo indeterminato) possano rientrare anche i casi in cui il contratto a termine sia stato convertito successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 23/2015, da considerare come casi di nuove assunzioni a tempo indeterminato.

Pasquale Passalacqua

*Di prossima pubblicazione su “Lavoro e previdenza oggi” (www.lpo.it)

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