LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO COMUNICATO TRAMITE WHATSAPP – Corte di Appello di Roma, 23 aprile 2018, Pres. Dott. Cambria, est. Dott.ssa Marrocco

giustizia

Al fine di assolvere all’obbligo di comunicazione in forma scritta, previsto a pena di inefficacia per l’intimazione di un licenziamento ai sensi e per gli effetti degli artt. 2 e 6 della Legge 604/1966, non rileva la peculiarità del mezzo utilizzato per la comunicazione stessa. Ne consegue che l’utilizzo della messaggistica istantanea tramite applicazione “whatsapp”, per un più generale principio di libertà della forma dei negozi giuridici, è del tutto equipollente e rispettoso delle norme del codice sull’efficacia e sulla presunzione di conoscenza degli atti unilaterali (artt. 1334-1335 c.c.).

La Corte di Appello di Roma con la sentenza in commento si è espressa sul riparto dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c. circa l’eccepito licenziamento orale e sul rispetto, per la peculiarità del mezzo di comunicazione utilizzato, della forma scritta d’intimazione del licenziamento; forma prevista dal legislatore, a pena di inefficacia dello stesso licenziamento, ai sensi e per gli effetti dell’artt. 2 e 6 della legge sui licenziamenti individuali.

L’originario ricorso avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento, avanzato nelle forme di cui al comma 47 dell’art.1 della legge n.92/2012, ha chiesto l’accertamento e la relativa dichiarazione di inefficacia del licenziamento asseritamente orale e, la conseguente applicazione della tutela reintegratoriae risarcitoria a favore della lavoratrice ricorrente.

Il Tribunale, con ordinanza n.8/2017, ha respinto la domanda reintegratoria e risarcitoria per carenza di prova del licenziamento verbale.

Il successivo reclamo, proposto ai sensi dell’art.1 comma 58 della legge 92/2012, è stato voltoa sostenere un errore circa il corretto riparto dell’onere probatorio.

La Corte di Appello, nel decidere sulla controversia, parte dall’analisi di un principio di legittimità ormai consolidato.

Ed infatti, la Suprema Corte (Cass. civ. Sez. lav. n.5061/2016) sul riparto dell’onere probatorio di cui all’art. 2697 c.c., in tema di licenziamento, ha chiarito che sul datore non grava solo l’onere di provare la sussistenza della giustificazione, ma anche tutti i fatti estintivi diversi dal licenziamento: dimissioni, requisiti formali e di efficacia dello stesso prescritti dalla legge.

Sennonché, sotto il profilo processuale, l’assolvimento dell’onere probatorio incombe, come detto sul datore di lavoro, fermo restando che il suo assolvimento deve essere valutato alla stregua di tutto il materiale probatorio che entrambe le parti hanno prodotto e che siano disponibili agli atti.

La domanda attorea è stata rigettata.

Ed infatti, alla luce del materiale istruttorio disponibile e prodotto in giudizio dalle parti, è risultato che la lavoratrice ha essa stessa negato l’esistenza del licenziamento.

Ebbene, a fronte di un supposto licenziamento orale intimatogli in data 25.10.2015, la stessa ha prodotto in giudizio un messaggio ricevuto tramite l’applicazione “wathsapp” in data 31.10.2015, ove il datore ha espresso la volontà di non avvalersi della sua prestazione lavorativa.

Ed inoltre, dall’esegesi testuale dello stesso messaggio dell’ottobre 2015 non è possibile ravvisare alcun riferimento all’asserito allontanamento orale avvenuto 6 giorni prima.

La prova testimoniale non ha riscontrato il fatto storico dell’allontanamento verbale.

Ciò posto, la produzione in giudizio della stampa del messaggio del 31.10.2015, ad opera della ricorrente, è da sola capace a conferir certezza sull’effettiva avvenuta ricezione e conoscenza della stessa comunicazione di licenziamento.

Chiarito ciò, la Corte ha potuto esprimere la massima di diritto che maggiormente si distingue per la sua portata innovativa.

Il licenziamento irrogato al prestatore di lavoro e comunicato allo stesso per iscritto dal datore di lavoro tramite lo strumento della messaggistica “wathsapp” è rispettosa dell’obbligo di “comunicazione in forma scritta”, contenuto a pena di inefficacia negli artt. 2 e 6 della legge 604 del 1966.

La Corte, nel richiamare il generale principio di libertà delle forme riguardante tutti i negozi giuridici, rileva come il legislatore non avrebbe inteso legare l’esatta espressione della volontà solutoria datoriale a particolari forme di trasmissione del contenuto.

Ed infatti, il termine “comunicazione” di cui all’art.2, a fronte di quello più tecnico di “notificazione” fa sì che l’indagine giudiziale non debba ricadere sul supporto informatico, o meno, utilizzato ma unicamente sull’effettiva conoscenza dello stesso messaggio da parte del lavoratore destinatario.

A suffragio di quanto affermato, la Corte cita un consolidato arrêt giurisprudenziale di legittimità, secondo cui gli atti unilaterali recettizi si presumono conosciuti “qualora giungano all’indirizzo del destinatario ossia nel luogo che, per collegamento ordinario (dimora o domicilio) o per normale frequentazione…risulti in concreto nella sfera di dominio e controllo del destinatario stesso, apparendo idoneo a consentirgli la ricezione dell’atto  ela possibilità di conoscenza del relativo contenuto”(Cass. civ. n.773/2003).

In conclusione, la Corte, nel richiamare il combinato disposto di cui agli artt. 1334 e 1335 c.c. sull’efficacia e presunta conoscenza degli atti unilaterali, altro non ha fatto che concludere per una sostanziale equipollenza tra “l’indirizzo del destinatario” e la casella personale “whatsapp”.

Dott. Eugenio Erario Boccafurni

* Di prossima pubblicazione su “Lavoro e previdenza oggi”  (www.lpo.it)

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