LE CONSEGUENZE DEL LICENZIAMENTO INTIMATO IN VIOLAZIONE DEI COMMI 3 E 9 DELL’ART. 4 DELLA L. 223/91 – Provvedimenti citati sotto

giudici di spalle

Tribunale di Roma, sez. lav., 22 gennaio 2015, n. 32079, est. Calvosa; Tribunale di Roma, sez. lav., 20 dicembre 2014, n. 29359, est. Masi; Tribunale di Roma, sez. lav., 20 ottobre 2014, n. 17837, est. Trementozzi; Tribunale di Roma, sez. lav., 8 gennaio 2015, n. 35748, est. Baronicini.

Il Tribunale di Roma, nelle quattro distinte ordinanze in oggetto, nonostante si affronti il medesimo thema decidendum, ossia l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento intimato in violazione dei commi 3 e 4 dell’art. 4 L. 223/91, è tuttavia giunto ad applicare soluzione sanzionatorie di diverso contenuto.
Più specificatamente, ciascun ricorrente deduceva che la comunicazione di avvio della procedura di riduzione del personale ex artt. 4 e 24 L. 223/91 fosse carente dell’indicazione delle ragioni determinanti la situazione di eccedenza e dei motivi tecnici, organizzativi e produttivi ostativi all’adozione di misure alternative al licenziamento; ed inoltre che la comunicazione finale non contenesse l’indicazione delle modalità di applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori licenziati.
Orbene in merito alla prima doglianza il Tribunale di Roma ha specificato che tale comunicazione di apertura di cui al citato comma non deve essere così puntuale come quando sia tesa ad assicurare il diritto di difesa, essendo sufficiente che consenta l’apertura di un dialogo con le OO.SS., così permettendogli di verificare il nesso tra le ragioni determinati l’esubero del personale e l’individuazione del personale da licenziare, indicando, inoltre, le ragioni ostative all’adozione di misure alternative il recesso.
E ancora, ha ricordato che: “l’art. 4, comma 3 citato non possa essere esteso a ricomprendere l’indicazione di tutte le misure astrattamente possibili onde evitare il licenziamento, bensì deve essere parametrato alle esigenze del singolo contesto aziendale ed ai motivi della programmata riduzione del personale, così permettendo alle OO.SS. di esercitare in maniera trasparente e consapevole un effettivo controllo sulla programmata riduzione del personale, valutando anche la possibilità di misure alternative al programma di esubero”(Cass. n. 24646/07 e Cass. n. 4653/09).
Quanto alla seconda doglianza lamentata, il Tribunale di Roma ha precisato che l’art. 4 comma 9 citato, prevede espressamente che il datore indichi puntualmente i criteri di scelta dei lavoratori licenziati e le modalità applicative degli stessi, così da garantire al lavoratore, destinatario del provvedimento espulsivo, di verificare la corretta applicazione dei criteri di scelta e di comprendere per quale ragione la scelta sia caduta su di lui e non sugli altri dipendenti ed eventualmente contestarne l’illegittimità.
Tale verifica, com’è ovvio, deve avvenire mediante un raffronto comparativo della generalità dei lavoratori dell’azienda e non solo di quelli destinatari del licenziamento, ossia mediante la predisposizione da parte del datore di un’apposita griglia nella quale siano inseriti tutti i lavoratori ipoteticamente destinatari del recesso.
All’esito dei suddetti ragionamenti il Tribunale di Roma, pur ritendo fondate le violazioni denunciate, ha tuttavia applicato diverse soluzioni sanzionatorie.
Nelle ordinanze del 22 gennaio 2015 e dell’8 gennaio 2015 il Tribunale di Roma ha genericamente qualificato le violazioni dedotte come violazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare ed ha per questo motivo ritenuto di applicare ai ricorrenti la c.d. tutela reale di cui all’art. 18, comma 4 L. 300/70, cosi come sancito all’art. 5, comma 3 l. 223/91, disponendo la reintegrazione del lavoratore nel posto precedentemente occupato.
Da un diverso ragionamento è invece scaturita la soluzione prospettata dal Tribunale di Roma nelle ordinanze del 20 dicembre 2014 e del 20 ottobre 2014, nelle quali il giudicante ha ritenuto che le violazioni denunciate fossero riconducibili nell’ipotesi di cui al successivo comma 12 dell’art. 4 citato, per cui troverebbe applicazione l’art. 1, comma 48 L. 92/2012, che ha sostituito l’art. 5, comma 3 l. 223/91, prevedendo, quale regime sanzionatorio, la c.d. tutela economica costituita da un’indennità risarcitoria da determinarsi tra un minimo di 12 ed un massimo di 14 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto ex art. 18, comma 7, terzo periodo della l. 300/70.
Il Tribunale non ha quindi accolto la tesi sostenuta dal ricorrente, secondo il quale la violazione dei commi 3 e 9 dell’art. 4 citato sarebbe riconducibile alla violazione dei criteri di scelta, che di fatto non è stata lamentata se non in correlazione all’inadempimento degli oneri formali.
Per il giudicante, infatti, appare chiara e pregnante la differenza che intercorre fra una non esauriente descrizione delle modalità applicative dei criteri di scelta, che costituirebbe un mero vizio formale, rispetto all’elusione dei criteri di individuazione dei lavoratori da licenziare, che integrerebbe senza dubbio un vizio di tipo sostanziale.
Orbene, appare quindi logico graduare le conseguenze di tali inadempimenti, poiché mentre nella prima ipotesi il lavoratore sarebbe comunque destinatario del licenziare, anche nel caso in cui il datore avesse correttamente adempiuto i propri oneri formali, nel secondo caso, invece, non sarebbe proprio dovuto essere nel novero dei lavoratori da licenziare, pertanto il provvedimento del datore risulterebbe sostanzialmente viziato.
Di fatto l’intervento attuato dal legislatore con la riforma Fornero del 2012, milita proprio in tal senso, prevedendo soluzioni sanzionatorie graduate in relazione alla gravità della violazione accertata, prevedendo per le ipotesi di vizi formali inerenti la procedura una tutela meramente risarcitoria, e per le ipotesi di violazione sostanziale dei criteri di scelta, una tutela reintegratoria debole di cui all’art. 18, comma 4 l. 300/70.

Pilar Torina

* Di prossima pubblicazione su “Lavoro a previdenza oggi” (www.lpo.it)

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