LA (“SOSTENIBILE”?) LEGGEREZZA DELLA DIFFERENZA TRA LICENZIAMENTO RITORSIVO E LICENZIAMENTO INGIUSTIFICATO – Tribunale di Roma, ord., 14 Aprile 2015, n. 38662

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E’ nullo, in quanto determinato da motivo illecito ex art. 1345 c.c., il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato, a pochi mesi di distanza dal riconoscimento giudiziale di un precedente demansionamento, senza che sia allegata alcuna riorganizzazione successiva alla pronuncia di condanna.

Un lavoratore guardiano di animali presso un’area zoologica gestita da una Fondazione si vedeva riconosciuto, con sentenza del Tribunale di Roma del 24 settembre 2014 n. 8558, il demansionamento e il diritto ad essere adibito a mansioni corrispondenti a quelle svolte, con esclusione, per ragioni di salute, del reparto erbivori a causa dell’utilizzo, all’interno di questo comparto, di elementi allergizzanti incompatibili con il suo stato di salute. L’operatore (guardiano – keeper di IV livello) veniva licenziato per giustificato motivo oggettivo – a distanza di pochi mesi dall’esecuzione dell’ordine giudiziale di adibizione a mansioni equivalenti – in seguito ad una asserita riorganizzazione della struttura produttiva che avrebbe reso necessario l’utilizzo di ciascun guardiano in ogni struttura, incluso il reparto erbivori, e conseguentemente inutilizzabili le prestazioni del lavoratore.
Ricorreva in giudizio per domandare la nullità del licenziamento in quanto determinato da motivo illecito ai sensi dell’art. 1345 c.c. con conseguente applicazione delle tutele previste dall’art. 18 comma 1 St. lav.
Il giudice esamina la prossimità cronologica tra l’ordine di adibizione a mansioni equivalenti – rispettato dalla Fondazione – e il licenziamento. Considera poi la assoluta inesistenza di una riorganizzazione aziendale, nonché l’inconsistenza della giusitificazione addotta dalla Fondazione datrice di non poter inserire il lavoratore nella “nuova” organizzazione dei reparti a causa della impossibilità di adibirlo al ”reparto-erbivori” (invero uno dei tanti). Da questi univoci e significativi elementi di giudizio non inferisce solo l’ingiustificatezza del licenziamento con le conseguenze del comma 4 dell’art. 18 – come potrebbe apparire scontato. Ravvisa invece, sulla base di simili gravi precisi seri e concordanti indizi, gli estremi del licenziamento ritorsivo (ritenuto peraltro, con intenti da chiarire, “assimilabile a quello discriminatorio”).
Condanna pertanto la Fondazione a reintegrare il lavoratore e al risarcimento pieno, ai sensi dell’art. 18 commi 1 e 2 St. lav.
La pronuncia delinea con chiarezza il percorso argomentativo che ha determinato il passaggio dall’ingiustificatezza (nella specie sembrava ricorrere, a fini sanzionatori, l’ipotesi di “manifesta insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento”) alla ritorsività. La ritorsività – come si evince dal provvedimento – si celava dietro alla preordinazione di un licenziamento gravemente e palesemente ingiustificato, unicamente finalizzato a “punire” il lavoratore già uscito vincitore da un precedente contenzioso. La motivazione segue un ragionamento presuntivo ad ampio raggio che apre nuove vedute sugli spazi applicativi dell’art. 1345 c.c..
Innovativi – e inaspettati – margini di manovra potrebbero essere aperti dalla giurisprudenza di merito a seguito della scomparsa della reintegrazione contro il licenziamento ingiustificato intimato per g.m.o. e la ulteriore residualizzazione della reintegrazione nell’ipotesi di licenziamento disciplinare (cfr. d.lgs. 23/2015) atteso che, di fatto, gli operatori finiranno per concentrare la propria attenzione su tipologie di vizi più “rassicuranti” dal punto di vista della tutela.

Fabrizio Ferraro

* Di prossima pubblicazione su “Lavoro a previdenza oggi” (www.lpo.it)

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