LA QUALIFICAZIONE DISICPLINARE DEL LICENZIAMENTO PER SCARSO RENDIMENTO IN CASO DI NOTEVOLE INADEMPIMENTO DEGLI OBBLIGHI CONTRATTUALI DEL PRESTATORE – Tribunale di Roma, ord., 24 dicembre 2015, est. Buconi, g. m. c. Autoservizi Fonti s.r.l.

toga Salerno

Licenziamento individuale – Malattia del prestatore – Assenze discontinue e irregolari – Scarso rendimento – Presupposti – Inutilizzabilità della prestazione – Carattere disciplinare del recesso – Necessità di colpa – Insussistenza – Reintegra.

Ancorché il recesso datoriale venga imputato all’asserito scarso rendimento del lavoratore per assenze discontinue ed irregolari per malattia, tali da rendere la sua prestazione non sufficientemente e proficuamente utilizzabile, e intimato dalla società come licenziamento per giustificato motivo oggettivo, va invece qualificato come disciplinare, in quanto fondato sull’inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del prestatore di lavoro.

Il datore di lavoro non può apoditticamente contestare al prestatore l’effettività delle malattie quando invece le medesime risultino ritualmente certificate, gravando invece sulla società, ai sensi dell’art. 5 della L. 604/66, l’onere di dimostrare l’insussistenza delle malattie o della loro incidenza sulla prestazione lavorativa.

L’ordinanza in esame offre spunti di riflessione su una tematica controversa, ossia la qualificazione della natura del licenziamento per scarso rendimento, foriera di dibattiti dottrinali e giurisprudenziali. Infatti, non sempre è facile connotare giuridicamente la natura di tale fattispecie risolutiva, anche in ragione del fatto che molte volte, come avviene nel caso in annotazione, è proprio il datore di lavoro che, nell’intimare il recesso per scarso rendimento, tende a sovrapporre circostanze diverse che ne rendono complessa l’interpretazione normativa. Conseguentemente, sarà compito preliminare del magistrato comprendere se nella questione posta al proprio vaglio si ricada nel campo del licenziamento per giustificato motivo oggettivo per ragioni inerenti all’attività produttiva o in quello disciplinare, per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa, per notevole inadempimento degli obblighi contrattuali assunti dal lavoratore.
Entrando nel merito dei fatti di causa, l’ordinanza in esame tratta il caso di un dipendente di una società di trasporti, licenziato insieme ad altri 10 lavoratori con la motivazione di scarso rendimento, per aver reso la prestazione lavorativa in maniera insufficiente a causa delle frammentarie ed imprevedibili assenze per malattia.
La società convenuta lamentava un assenteismo del prestatore che andava ben oltre “i limiti di tolleranza fisiologica” e che poteva impedire il corretto svolgimento del servizio svolto in appalto.
Il datore di lavoro, in particolare, nell’intimare il recesso poneva l’accento sulla circostanza che le continue, immotivate e discontinue assenze, di cui alcune agganciate ai giorni di riposo, erano da considerarsi come una mancanza di rispetto nei confronti degli altri lavoratori che, al contrario, nello svolgimento delle proprie mansioni, dimostravano rispetto e spirito collaborativo. 
Orbene, secondo l’impostazione della società, tale condotta integrava un profilo di colpa del ricorrente, il quale si era assentato dal lavoro per motivi di salute senza essere effettivamente malato e comunque non avendo una malattia che gli impedisse di lavorare. 
In virtù di tali addebiti, a giudizio del datore, la residua prestazione del lavoratore non risultava essere sufficientemente e proficuamente utilizzabile, configurandosi un inadempimento degli obblighi contrattuali assunti.  
Il lavoratore impugnava il licenziamento lamentando il carattere discriminatorio del recesso datoriale, l’insussistenza del fatto contesto e la violazione delle procedure di cui alle Leggi 223/91 e 604/66, art. 7.
Ai fini di una migliore comprensione della vicenda in analisi, occorre evidenziare che sia in base alle deduzioni rassegnate dall’azienda di trasporti nel corso del giudizio sia con riferimento a quanto statuito dalla ordinanza, si può escludere che le ragioni del licenziamento abbiano preso in considerazione la malattia e, comunque, l’eccessiva morbilità in quanto tale e la conseguente applicabilità al rapporto del superamento del periodo comporto. La tesi della società prende invece  le mosse da un assunto diverso, che non tiene in alcun conto la giustificazione formale della mancata prestazione del dipendente a causa del proprio stato di salute, in quanto ritiene che “la regolarità formale delle assenze non implica la loro regolarità sostanziale”.
L’oggetto del recesso è rinvenibile, quindi, nella ricaduta delle assenze sulla regolarità del servizio e ciò a prescindere dal fatto che le stesse siano giustificate da certificati medici. Il profilo del licenziamento, come giustamente osservato dal giudice, è evidentemente di tipo disciplinare poiché è stata contestata al prestatore la colpa di essersi “assentato per motivi di salute senza essere effettivamente malato, o essersi assentato pure non avendo una malattia che gli impediva di lavorare”.
A parere del Tribunale di Roma il licenziamento, pur essendo stato intimato per motivo oggettivo, tuttavia, per come è stato rappresentato dalla società sia nella lettera di recesso che nelle successive deduzioni della memoria di costituzione in giudizio, avrebbe dovuto essere qualificato come disciplinare per notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore, risoluzione prevista dall’articolo 1453 c.c.
Il giudice poi, entrando nel merito dei fatti oggetto causa, ha affermato un ulteriore importante principio di diritto sulla problematica del controllo dello stato di salute del prestatore. Il Tribunale di Roma, infatti, ha ritenuto l’insussistenza del fatto contestato in quanto in realtà, proprio in ragione degli addebiti mossi al lavoratore, le assenze risultavano regolarmente giustificate da opportuna certificazione medica. Sul punto il giudice ha stabilito che il datore di lavoro non può apoditticamente contestare al prestatore l’effettività delle malattie quando invece le medesime risultino ritualmente certificate, gravando invece sulla società, ai sensi dell’art. 5 della L. 604/66, l’onere di dimostrare l’insussistenza delle malattie o della loro incidenza sulla prestazione lavorativa.
Nel caso di specie, tuttavia, il datore non aveva richiesto alcuna visita fiscale nei confronti del dipendente. Conseguentemente, secondo l’ordinanza de qua, la certificazione medica fornita dal dipendente risultava conforme ai requisiti richiesti dalla legge e, pertanto, idonea a comprovare la sussistenza della malattia. Si legge ancora nel provvedimento del Tribunale di Roma che la società si era limitata a contestare detta certificazione eccependo indirettamente che il medico avesse attestato il falso senza porre in essere alcuna azione sulla inidoneità di tali attestazioni.
Alla luce di tali osservazioni, il giudice ha ritenuto il fatto insussistente e dichiarato l’illegittimità del licenziamento, ordinando alla società di reintegrare il dipendente nel posto di lavoro, oltre a corrispondergli le retribuzioni globali di fatto dal recesso alla reintegra.

Michelangelo Salvagni

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