LA CASSAZIONE SULLE “NUOVE DECADENZE”: AUTONOMIA DELL’IMPUGNAZIONE DEL TRASFERIMENTO EX ART. 2013 C.C., AI SENSI DELL’ ART. 32 COMMA 3 LETT. C), RISPETTO ALL’IMPUGNAZIONE DEL SUCCESSIVO LICENZIAMENTO FONDATO SUL MEDESIMO FATTO COSTITUTIVO – Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, 12 agosto 2015, n. 16757

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Il termine per l’impugnazione del trasferimento disposto ai sensi dell’art. 2103 cod. civ., a cui, per effetto della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 3, lett. c) si applica la disciplina dell’impugnazione dei licenziamenti previsto dalla L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 6 come modificato dal comma 1 del medesimo art. 32, decorre dalla data di ricezione della lettera di trasferimento anche nel caso in cui, per effetto della mancata ottemperanza, segua un distinto atto di licenziamento determinato dal rifiuto di trasferirsi autonomamente impugnabile.

Decadenza – trasferimento – decorrenza del termine – licenziamento successivo – autonomia dell’impugnazione del trasferimento – conseguenze

Art. 32 comma 3 lett. c), l. 183/2010 – art. 6, l. 604/1966 – art. 2013 c.c.

La sentenza in commento affronta una questione innovativa in tema di collegamento tra l’impugnazione del trasferimento nei termini di legge e pronuncia di nullità del licenziamento ritorsivo intimato per assenza ingiustificato in conseguenza del rifiuto ad ottemperare all’ordine di trasferimento.
La Corte d’appello di Firenze, avverso la sentenza del Tribunale di Arezzo che rigettava l’opposizione della stessa società avverso l’ordinanza del 23 marzo 2013 con la quale era stata dichiarata la nullità del licenziamento intimato, accoglieva le eccezioni della società.
È oggetto di particolare interesse la motivazione già posta a fondamento della decisione. La Corte territoriale aveva infatti deciso sulla base della mancata impugnazione del trasferimento nel termine di decadenza di 270 giorni dalla prima impugnativa stragiudiziale previsto dall’art. 32 della l. n. 183 del 2010, che ha conseguentemente determinato la legittimità del successivo licenziamento per la mancata ottemperanza a tale trasferimento.
Più nel dettaglio si afferma che non sarebbe possibile esaminare i profili di legittimità del trasferimento ai fini della valutazione della validità del successivo licenziamento in quanto, in tal modo, si rischierebbe di vanificare il senso della previsione di un termine di decadenza.
La Suprema Corte ha confermato la valutazione del giudice territoriale rilevando, in primo luogo, la non autosufficienza della doglianza, che omette di riportare l’atto di trasferimento in questione e la successiva lettera di licenziamento.
Inoltre – questo l’arresto di maggiore interesse – rileva che il motivo di ricorso riguarda il trasferimento che, pur costituendo di fatto il presupposto del successivo licenziamento per assenza ingiustificata della lavoratrice, costituisce comunque un atto autonomo e distinto dal licenziamento.
Avendo l’art. 32 comma 3 lett. c) della l. 183 del 2010 esteso anche all’atto del trasferimento del lavoratore i termini per l’impugnazione del licenziamento ex art. 6 commi 1 e 2, l. 604 del 1966, si deve ritenere che, trascorsi 270 giorni (nella formulazione antevigente, oggi 180) ogni valutazione inerente al trasferimento è preclusa. È infatti inammissibile la rimessione in termini del soggetto onerato attesa la piena autonomia dei due atti – trasferimento e licenziamento – separatamente impugnabili. Se ne ricava che nemmeno il rifiuto di trasferirsi, pur avendo chiaro contenuto oppositivo, costituisce atto impeditivo tecnicamente idoneo, data la tipicità legale degli atti che bloccano la decadenza.
Qualora il licenziamento sia astrattamente viziato a causa e in dipendenza di un trasferimento illegittimamente disposto e rifiutato ex art. 1460 c.c. dalla lavoratrice (in ipotesi nullo in quanto ritorsivo) al giudice è preclusa la valutazione del contenuto del recesso che per gli effetti non può più essere invalidato (nonostante la lavoratrice abbia manifestato chiaramente la sua contrarietà).
Argomento decisivo si rinviene in un passaggio finale: il termine decadenziale specificamente previsto per l’impugnativa del licenziamento disposto dal datore di lavoro ex art. 2103 cod. civ. ha per sua ragione fondante l’esigenza di «impedire il dannoso protrarsi di situazioni di incertezza relative alla sussistenza del rapporto lavorativo, con tutte le ricadute negative consequenziali a tale incertezza». I principi di certezza e lealtà nel rapporto prevalgono pertanto sulle esigenze di tutela.

Fabrizio Ferraro

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