INEFFICACIA DEL LICENZIAMENTO PER GENERICITA’ DELLA MOTIVAZIONE NELL’AREA DELLA TUTELA OBBLIGATORIA – Tribunale di Roma, sez. lav., 17 novembre 2014, n. 8365 – Est. Masi

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Effetti sui rapporti di lavoro muniti di tutela obbligatoria: mancata estinzione
Il Tribunale di Roma si è pronunciato sull’obbligo datoriale di esplicitare con specificità la motivazione del licenziamento contestualmente alla sua intimazione, a seguito delle modifiche all’art. 2, comma 2 della legge 604/66 introdotte dalla legge 92/2012; ha poi esaminato gli effetti che la violazione di tale obbligo produce sui rapporti di lavoro estranei, per ragioni dimensionali, alla tutela di cui all’art. 18 Stat. Lav..
Il Tribunale ha, innanzi tutto, ricordato che, alla luce della nuova formulazione del cit. art. 2 legge 15/7/1966 n. 604 deve ritenersi sussistente – per i licenziamenti intervenuti, come nella fattispecie, in epoca successiva all’entrata in vigore della novella – l’obbligo di contestualità della motivazione, diversamente da quanto precedentemente stabilito, motivazione che il legislatore ha precisato dover assumere carattere necessariamente “specifico”, così conferendo rilievo normativo ai principi già costantemente affermati al riguardo dalla giurisprudenza di legittimità.
Il Tribunale ha, quindi, precisato che, perché tale condizione sia attuata, si richiede che l’indicazione dei motivi sia idonea a realizzare il risultato perseguito dalla legge, costituito dalla conoscenza, da parte del lavoratore, delle ragioni sottese al provvedimento; a tale scopo, è necessario che la motivazione individui tali fatti con sufficiente precisione, anche se sinteticamente, per modo che risulti senza incertezza l’ambito delle questioni sottese al licenziamento; risultato che non poteva ritenersi realizzato, nella fattispecie, atteso che la comunicazione di licenziamento conteneva un generico riferimento ad “una radicale riorganizzazione degli assetti interni” non meglio precisata ed alla “grave crisi di mercato”, che avrebbe reso necessario il riassetto, senza in alcun modo esplicitare in cosa sia consistita la radicale riorganizzazione – e, quindi, quali unità, strutture e risorse avrebbe interessato, e con quali modalità e tempi – né come abbia inciso la crisi menzionata sugli assetti economici aziendali, e neppure, infine, quale sia stato il nesso causale esistente tra tale processo di riorganizzazione ed il venir meno della posizione ricoperta dal lavoratore.
Ne è conseguita la declaratoria di inefficacia del licenziamento, atteso che la previsione di inefficacia – già contenuta nella vecchia formulazione dell’art. 2 l. 604/66 in caso di omessa comunicazione ed applicata nell’interpretazione giurisprudenziale anche alla motivazione generica, in quanto ritenuta equivalente alla mancata motivazione – è stata riaffermata indistintamente nella novella per tutti i casi di violazione dell’art. 2, come modificato dalla legge 92/2012, per omessa o insufficiente motivazione (in tal senso, inequivocabilmente, non solo l’art. 37 comma 1, ma anche il nuovo comma 6 dell’art. 18 Stat. Lav. come modificato dalla stessa legge).
Il Tribunale ha, poi, affrontato lo spinoso tema delle conseguenze di tale inefficacia, ed ha rimarcato che la l. 92/2012 ha dettato un particolare regime sanzionatorio di tale vizio esclusivamente correlato ai rapporti assistiti dalla tutela reale; il novellato art. 18 comma 6 Stat. Lav. prevede, infatti, che a fronte dell’inefficacia del recesso per violazione dell’obbligo motivazionale, il Giudice riconosce al lavoratore una indennità risarcitoria da sei a dodici mensilità (salvo l’accertamento comunque del difetto di giustificazione), ma, a sensi del successivo comma 8, anche tale disposizione trova applicazione solo ai datori di lavoro con oltre quindici dipendenti. Con il conseguente insuperabile rilievo il legislatore risulta aver circoscritto l’applicabilità della tutela di cui al sesto comma (cos’ come di quelle di cui ali altri commi dal quarto al settimo) ai soli rapporti connotati dal requisito dimensionale delineato dall’ottavo comma e con l’ulteriore conseguenza che l’inosservanza di tale requisito (come era incontroverso tra le parti), la particolare disciplina prevista dalla novella non può evidentemente trovare, in difetto di espressa previsione legislativa, alcuna applicazione, dovendosi invece far riferimento al regime generale relativo al licenziamento inefficace.
Il Tribunale ha, quindi, ricordato che secondo il consolidato orientamento di legittimità, susseguente alla nota pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte n. 506 del 27 luglio 1999, nei rapporti sottratti al regime di tutela reale il licenziamento inefficace in quanto affetto da uno dei vizi formali di cui all’art. 2 della legge n. 604 del 1966 non produce effetti sulla continuità del rapporto e, pertanto, se, da un lato, non può ritenersi applicabile la disciplina prevista dall’art. 8 della stessa legge per la diversa ipotesi di licenziamento privo di giusta causa o di giustificato motivo, dall’altro, vertendosi in tema di prestazioni corrispettive, l’inidoneità del licenziamento ad incidere sulla continuità del rapporto di lavoro non comporta il diritto del lavoratore alla corresponsione delle retribuzioni maturate dal giorno del licenziamento inefficace, bensì solo al risarcimento del danno da determinarsi secondo le regole in materia di inadempimento delle obbligazioni.
Il Tribunale ha rilevato come tale regime, di portata generale, non possa ritenersi modificato dalla legge 92/2012, atteso che questa ha previsto una disciplina diversa per la violazione degli obblighi di comunicazione, ma solo in relazione ai rapporti qualificati dal requisito dimensionale indicato nel comma 8 del novellato art. 18.
Ne è conseguito il rigetto dell’eccezione proposta dalla società resistente, secondo la quale la speciale tutela indicata dalla l. 92/2012 dovrebbe trovare applicazione anche nei confronti delle imprese di minori dimensioni, in virtù di una pretesa “interpretazione costituzionalmente orientata del combinato disposto dell’art. 2, comma 3 della L. 604/66 e dell’art. 18, comma 6, L. 300/70 (come novellato dalla L. 92/2012”.
Tale opzione contrasterebbe con le regole ermeneutiche attesa la palese scelta del legislatore di limitare la riferibilità della disciplina sanzionatoria di cui al comma 6 ai soli casi previsti dal comma 8.
Né avrebbe senso lamentare che tale interpretazione farebbe emergere una questione di costituzionalità, dato che trova applicazione la disciplina generale prevista per il licenziamento inefficace – come tale inidoneo ad incidere sulla giuridica continuità del rapporto, secondo quanto delineato dalla Suprema Corte nella sentenza menzionata – e non quella specificamente prevista dal novellato art. 18, comma 7, e semmai la questione di costituzionalità potrebbe apparire rilevante nel caso opposto, in cui il lavoratore dipendente di un’azienda dotata del requisito dimensionale si vedesse applicare una disciplina sanzionatoria in ipotesi deteriore rispetto a quella riservata ai dipendenti delle imprese minori.
In conseguenza di tali premesse, il Tribunale ha dichiarato l’inefficacia del licenziamento accertando che il rapporto di lavoro intercorso tra le parti era tuttora in essere e condannando la società datrice a ripristinare in fatto il rapporto riammettendo in servizio il lavoratore ed a risarcirgli il danno subìto, parametrato alle retribuzioni globali di fatto maturate dall’offerta delle prestazioni contenuta nella lettera di impugnazione al ripristino del rapporto, oltre accessori.
Con la sentenza in questione ha anche ritenuto illegittima la collocazione in CIGO del lavoratore per mancato rispetto dell’obbligo di rotazione assunto dalla azienda nella procedura sindacale di consultazione ed ha condannato la società datrice al risarcimento del danno commisurato alla differenza tra la retribuzione normale ed il trattamento percepito.

A cura di Elena Giorgi

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