IN MATERIA DI LICENZIAMENTI COLLETTIVI PUÒ INTERCORRERE, TRA IMPRENDITORE E SINDACATI, UN ACCORDO INTESO A DISCIPLINARE L’ESERCIZIO DEL POTERE DI COLLOCARE I LAVORATORI IN ESUBERO STABILENDO UN CRITERIO DIFFORME DA QUELLI LEGALI, QUALE IL CRITERIO DELLA PROSSIMITÀ ALLA PENSIONE, SOLO A CONDIZIONE CHE SIA RISPONDENTE A REQUISITI DI OBIETTIVITÀ, RAZIONALITÀ E TRASPARENZA – Corte di Appello di Roma, Sezione Lavoro, 23 aprile 2015, n. 3557

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La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 23 aprile 2015, n. 3557, ha accolto il reclamo ex art. 1 comma 58 L. n. 92/2012 proposto da un lavoratore avverso la pronuncia con la quale il Tribunale di Roma – in fase di opposizione – aveva respinto l’originario ricorso avverso il licenziamento al medesimo irrogato dall’Istituto di credito convenuto all’esito della procedura ex lege n. 223/91.
Tra i diversi motivi di reclamo articolati, il lavoratore aveva censurato l’operato della Banca la quale avrebbe violato il criterio (di scelta) della prossimità al pensionamento per effetto del “salvataggio” di alcuni lavoratori che, sia pur parimenti pensionabili (al pari del reclamante) in base al suddetto criterio, non erano stati licenziati dalla Società.
Nel dettaglio, l’accordo di apertura della procedura di licenziamento collettivo del settembre 2012 aveva previsto un numero complessivo di risorse in esubero e che il criterio della pensionabilità graduale fungesse da base per l’incentivo all’esodo e per i licenziamenti resisi necessari; era stato poi stabilito che le Parti si sarebbero successivamente incontrate per verificare il numero di adesioni volontarie all’esodo e che se le stesse fossero risultate inferiori al numero degli esuberi, si sarebbe proceduto all’individuazione di ulteriori dipendenti da licenziare facendo riferimento a coloro che avevano maturato (o avrebbero maturato entro il triennio) i requisiti per accedere al trattamento pensionistico.
A seguire, con l’accordo di chiusura della procedura (novembre 2012), si dava atto del mancato raggiungimento di un numero di adesioni volontarie pari agli esuberi stabilendo che l’Istituto di credito avrebbe risolto unilateralmente il rapporto di lavoro nei riguardi dei lavoratori che avevano già maturato il trattamento pensionistico o che lo avrebbero maturato entro il triennio.
Negli accordi, si noti, era stata prevista la facoltà per alcuni lavoratori in possesso del requisito della pensionabilità di non essere licenziati e di ottenere la posticipazione della data del loro esodo volontario per un periodo di massima sino a 9 mesi e soltanto ove avessero ricoperto posizioni con contenuti specialistici e/o di particolare rilevanza al fine di salvaguardare le funzionalità delle strutture operative ed organizzative strategiche per il gruppo aziendale.
E proprio con tale riserva, ha evidenziato il Corte di Appello, è stata data all’Istituto di credito “la possibilità di sottrarre al licenziamento alcuni dipendenti – già pacificamente in possesso dei requisiti per essere messi in mobilità – utilizzando un criterio del tutto generico ed indeterminato di talché devono ritenersi non rispettati quei principi di obiettività, generalità e di razionalità richiamati dalla Corte di Cassazione”.
Inoltre, la Corte, pronunciandosi (nello specifico) sulla censura avente ad oggetto il “salvataggio” di alcuni lavoratori che avevano maturato i requisiti di accesso alla pensione al pari del reclamante ma trattenuti in servizio – posizioni per le quali la difesa della Banca aveva sostenuto l’incomparabilità in quanto tutti lavoratori “non licenziati” ma “aderenti all’esodo” e “quindi fuori dalla procedura” – ha chiarito che per tali dipendenti “l’efficacia delle loro dimissioni era stata differita anche di anni rispetto alla maturazione del primo trattamento pensionistico” e pertanto “l’adesione all’esodo volontario giustifica la sottrazione del dipendente dalla platea dei licenziabili” solo ove “i rapporti si risolvano consensualmente ed immediatamente”.
Sulla base dei rilievi sopra evidenziati, il Collegio ha ritenuto che il criterio di scelta della prossimità alla pensione “è stato eluso e sono stati così violati i principi di obiettività, generalità e di razionalità da rispettare nella procedura di licenziamento collettivo” così determinando la illegittimità del licenziamento con le conseguenze previste dall’art. 5, comma 3 L. n. 223/91 e l’applicazione del regime sanzionatorio di cui all’art. 18, comma 4 L. n. 300/70 (reintegrazione nel posto di lavoro e indennità risarcitoria nella misura di 12 mensilità).

Sergio Testa

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