ILLEGITTIMA REITERAZIONE DI CONTRATTI A TERMINE NEL PUBBLICO IMPIEGO: RICONOSCIMENTO AUTOMATICO DEL “DANNO COMUNITARIO” E CRITERI DI LIQUIDAZIONE – Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, 23 gennaio 2015, n. 1260

toga di spalle

L’abusiva reiterazione di contratti a termine da parte della Pubblica Amministrazione con i correlati profili sanzionatori derivanti dal verificarsi di tale fattispecie illecita, rappresenta un tema notoriamente controverso, affrontato a più riprese dalla Corte di Giustizia Europea investita della questione dai giudici nazionali che hanno posto un problema di compatibilità della legislazione nazionale con la direttiva comunitaria 1999/70/CE in materia di contratto a termine stante la presenza nell’ordinamento di una disposizione legislativa che impedisce la conversione dei contratti a tempo determinato nel settore pubblico sia pur accordando al lavoratore il diritto al risarcimento del danno in caso di violazione di norme imperative (art. 36, comma 5 d. lgs. n. 165/2001).
L’attenzione del Giudice comunitario si è più volte canalizzata sul problema della effettività della tutela risarcitoria con il conseguente invito ai giudici interni ad applicare la normativa nazionale in modo tale da garantirne la sostanziale idoneità a reprimere l’utilizzo illegittimo dei contratti a tempo determinato.
Fino ad oggi, il panorama giurisprudenziale italiano, sia pur sulla scorta delle indicazioni fornite dalla Corte di Giustizia Europea, si è caratterizzato per l’adozione di soluzioni profondamente diverse tra loro: si spazia infatti da sentenze che avallano la tesi del risarcimento extra contrattuale supportato dall’art. 2043 c.c. (quantificando l’indennizzo secondo i criteri del danno emergente e del lucro cessante) a decisioni che operano un rinvio alle disposizioni in materia di risarcimento danni da inadempimento contrattuale (art. 1223 ss. c.c.) per poi incontrare (nella maggior parte dei casi) pronunce che individuano una sorta di automatismo risarcitorio parametrando il danno subito sull’art. 18 l. n. 300/1970 (trattandosi dell’unico istituto attraverso il quale il legislatore ha monetizzato il valore del posto di lavoro assistito dalla c.d. stabilità reale quale è quello alle dipendenze della Pubblica Amministrazione) o utilizzando il sistema indennitario previsto dall’art. 32 L. n. 183/2010 (c.d. Collegato Lavoro).
Tracciato brevemente il quadro di riferimento è allora possibile passare ad analizzare la recente pronuncia della Corte di Cassazione.
Con la sentenza in analisi, la Suprema Corte fornisce un importante chiarimento in materia individuando (finalmente) una soluzione in grado di porre fine ai contrasti giurisprudenziali aventi ad oggetto il regime sanzionatorio adottabile in caso di illegittimo utilizzo di contratti a tempo determinato da parte del datore di lavoro pubblico ed i criteri di liquidazione del danno.
Chiamata a pronunciarsi sul ricorso promosso da una lavoratrice a termine della Regione Valle d’Aosta avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino che (sia pur confermando la illegittimità dei contratti stipulati dalla ricorrente) – in accoglimento dell’appello promosso dall’Amministrazione Regionale – ha riformato il capo di sentenza di primo grado con il quale il Tribunale di Aosta aveva condannato la Regione al risarcimento del danno qualificandolo in 20 mensilità dell’ultima retribuzione percepita in quanto nessuna deduzione o allegazione era stata fornita in merito al danno patito (escludendo, pertanto, il danno in re ipsa), il Supremo Collegio, aderendo al contenuto della recente ordinanza della Corte di Giustizia Europea 12 dicembre 2013 (Papalia, C-50/13), ha chiarito che l’art. 36, comma 5 d.lgs. n. 165/2001, nel prevedere il diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione lavorativa in violazione di norme imperative, “deve essere interpretato nel senso che la nozione di danno applicabile nella specie deve essere quella di danno comunitario”.
In altri termini il risarcimento, secondo gli Ermellini, per conformarsi ai canoni di adeguatezza, effettività, proporzionalità e dissuasività rispetto al ricorso abusivo alla stipulazione da parte della Pubblica Amministrazione di contratti a termine, deve configurarsi come “una sorta di sanzione ex lege a carico del datore di lavoro (…) mentre l’interessato deve limitarsi a provare l’illegittima stipulazione di più contratti a termine sulla base di esigenze falsamente indicate come straordinarie e temporanee essendo esonerato (…) dalla prova di un danno effettivamente subito”.
In conclusione, la Suprema Corte depone a favore dell’applicazione di un meccanismo risarcitorio automatico con la previsione di una sanzione ex lege che prescinde da deduzioni e allegazioni probatorie circa il danno subito dal lavoratore ma allo stesso tempo, discostandosi dai precedenti di merito sul punto, indica quale parametro da utilizzare per la liquidazione il criterio di cui all’art. 8, L. 15 luglio 1966, n. 604 ritenendo invece “improprio il ricorso in via analogica sia al sistema indennitario omnicomprensivo previsto dalla L. n. 183/2010, art. 32 sia al criterio previsto dall’art. 18 St. Lav., trattandosi di criteri che, per motivi diversi, non hanno alcuna attinenza l’indicata fattispecie”.

Sergio Testa

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