IL CONTRASTO SULLA NATURA DECISORIA O MERAMENTE ORDINATORIA DELL’ORDINANZA CHE DICHIARI L’INSUSSISTENZA DEI PRESUPPOSTI PER LA TUTELA EX ART. 18 STAT. LAV. E, CONTESTUALMENTE, DISPONGA IL MUTAMENTO DEL RITO – Corte d’Appello di Roma, (ord.) 27 giugno 2014, Cons. est. Marasco; Corte di Appello di Roma, 7 luglio 2014, n. 6456, Cons. est. Miccichè

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Sull’ammissibilità del ricorso in opposizione avverso l’ordinanza che, pronunciandosi in ordine all’assenza del requisito dimensionale prescritto dall’art. 18 Stat. lav., disponga il mutamento del rito: le due tesi contrapposte.

 Il Tribunale di Roma, decidendo i ricorsi in opposizione proposti, ai sensi dell’art. 1, co. 51 e ss. L. 92/2012, da parte di due lavoratori licenziati, avverso le ordinanze con le quali il medesimo Tribunale, pronunciandosi, all’esito della fase sommaria, in ordine alla insussistenza del requisito dimensionale, così denegando l’applicazione dell’art. 18 Stat. lav., aveva disposto il mutamento del rito (apparentemente ai fini della decisione della domanda subordinata di riconoscimento della tutela di cui all’art. 8, L. 604/66), ha dichiarato l’inammissibilità delle opposizioni in parola, sul presupposto che la pronuncia che disponga il mutamento del rito non potrebbe, neanche implicitamente, avere carattere decisorio, avendo natura meramente provvisoria ed essendo, quindi, sempre revocabile.

La Corte d’Appello di Roma, pronunciandosi sui reclami proposti avverso le suddette decisioni, è pervenuta, rispettivamente con ordinanza del 27 giugno 2014 e con sentenza n. 6456 del 7 luglio 2014, a due conclusioni diametralmente opposte.

Per quanto concerne la prima delle citate pronunce, la Corte, richiamato il consolidato principio secondo il quale, «sia nell’ipotesi di applicazione della tutela reale sia nei casi riconducibili alla tutela obbligatoria, “fatti costitutivi del diritto soggettivo del lavoratore a riprendere l’attività e, sul piano processuale, dell’azione di impugnazione del licenziamento sono esclusivamente l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato e l’illegittimità dell’atto espulsivo”», ha affermato che «la domanda subordinata proposta nella fase sommaria in quanto diretta ad ottenere, in caso di mancato accertamento del dedotto requisito dimensionale, l’applicazione dell’art. 8 della legge n. 604 del 1966» debba necessariamente ritenersi ammissibile, «giacchè consente di evitare un inutile dispendio di attività processuale», pur «mantenendo … ferma la finalità del nuovo rito».

Peraltro, com’è noto, «La questione … relativa alla correttezza del rito deve essere risolta alla stregua della prospettazione dell’attore o del ricorrente, ossia “in base al contenuto della domanda giudiziale”».

A fronte della ritenuta assenza, nel caso di specie, del requisito dimensionale «quale presupposto indispensabile per l’applicazione della tutela reale» e, quindi, risolvendosi la valutazione della «infondatezza del petitum formulato in via principale … in un rigetto della domanda di tutela reintegratoria», non potrebbe in alcun modo ritenersi condivisibile la tesi, accolta dal Tribunale, secondo cui «la ritenuta insussistenza dei presupposti richiesti per la tutela reintegratoria costituirebbe una statuizione di carattere ordinatorio», così legittimando la pronuncia di inammissibilità del ricorso in opposizione avverso la stessa proposto.

A quest’ultima conclusione perviene, invece, altro collegio della stessa Corte d’appello di Roma, il quale, con la sentenza n. 6456/2014, in direzione totalmente contraria rispetto a quanto affermato con la suesposta pronuncia, ha ritenuto che «l’ordinanza in esame, con la quale il giudice della fase urgente ha rimesso la causa davanti a sé ritenendo applicabile il rito processuale del lavoro … non riveste alcun contenuto decisorio relativamente al punto del requisito dimensionale, non potendosi … considerare quale decisione suscettibile di passare in giudicato sulla questione preliminare di merito attinente al processo ed esaminata ai soli fini del rito applicabile».

Ad ulteriore sostegno di tale, contrapposta tesi, viene richiamato quel principio, affermato dalla giurisprudenza di legittimità in tema di rapporti intercorrenti tra rito ordinario e rito speciale del lavoro, secondo il quale «l’omesso cambiamento del rito, per quanto obbligatorio, non spiega di per sé effetti invalidanti sulla sentenza, che … può essere impugnata … soltanto ove si indichi lo specifico pregiudizio che ne sia derivato».

A conferma del contenuto non decisorio del provvedimento in discussione deporrebbe sia la statuizione adottata dal giudice della fase sommaria di proseguire davanti a sé l’intero processo, in applicazione della regola del mutamento del rito, sia, altresì, la circostanza che «in ordine alla rilevata assenza del requisito dimensionale (sia) stata ripetutamente utilizzata la formula “allo stato degli atti”».

A cura di Elena Giorgi

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