GLI EFFETTI GIURIDICI DELLA CONTESTAZIONE DISCIPLINARE TARDIVA – Corte di Cassazione, Sezioni Unite 24 ottobre 2017 n. 30985, Primo Pres. G. Canzio, Rel. U. Berrino

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In caso d’infrazione disciplinare astrattamente sanzionabile con il licenziamento per giusta causa la tardività della contestazione datoriale del fatto, seppur temporalmente abnorme rispetto al momento della cognizione dello stesso, non costituisce implicita rinunzia al diritto potestativo del recesso né tantomeno un vizio procedurale avente carattere preclusivo (genetico o sostanziale) della pronuncia giudiziale, ma bensì configura un semplice vizio di forma del procedimento disciplinare. Pertanto il regime di tutela applicabile trova il puntuale riscontro normativo nel novellato art. 18, co. 6 e 5 della L. 300/1970, salvo la contemporanea ricorrenza delle ipotesi previste dal comma 4 del medesimo articolo

artt. 1175 e 1375 c.c. – art. 12 disp. legge in gen. – art. 7 della L. 300/70. – art. 18 della L. 300/70 – L. 92 del 2012

Un dipendente della Banca M.P.S., essendo stato licenziato per giusta causa per un illecito disciplinare risalente a circa due anni dall’avvenuto accertamento datoriale del fatto, ricorreva al giudice del lavoro chiedendo – previa declaratoria dell’illegittimità del recesso – la reintegra al lavoro.

Nella fase sommaria il lavoratore vedeva accolte le suddette istanze, mentre il giudice dell’opposizione, pur confermando che si versasse comunque in ipotesi di licenziamento illegittimo, riteneva però applicabile la tutela indennitaria debole ex art. 18, co. 5, Stat. Lav..

Di contrario avviso la Corte d’appello di Firenze secondo cui il licenziamento era invece “… da considerarsi nullo per la mancanza di contestazione immediata” atteso che l’inerzia datoriale, essendo ritenuta – sotto il profilo temporale – “ragguardevole” assumeva il significato d’intervenuta rinunzia all’esercizio del diritto potestativo del recesso, comportandone dunque ex se l’estinzione.

La società datrice di lavoro dolendosi della sentenza sfavorevole adiva la Suprema Corte lamentandone l’erroneità, specie nella parte in cui disponeva la reintegra del lavoratore nel posto del lavoro anziché una delle tutele indennitarie di cui ai commi 5 e 6 dell’art. 18 Stat Lav. All’uopo asseriva essersi incorso nella violazione o nella falsa applicazione dell’art. 18, co. 6 della L. 300/1970 in ordine all’art. 12 disp. gen. nonché dell’art. 7 della L. 300/1970 in relazione agli artt. 1175 e 1375 c.c.

Stante l’importanza del tema da trattare e l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale al riguardo, la Sezione Lavoro rimetteva con ordinanza n. 10159 del 21/04/2017 gli atti al Primo Presidente della Corte affinché ne valutasse l’affidamento alle Sezioni Unite. In sintesi la questione controversa risiede nell’individuazione del tipo di regime di tutela da applicare in caso di tardività della contestazione disciplinare alla luce delle modifiche introdotte dalla legge Fornero all’art. 18 della L. 300/1970. In particolare la succitata ordinanza di rimessione metteva in rilievo che attualmente coesistono sul punto due orientamenti giurisprudenziali della Suprema Corte antitetici tra loro. Il primo (più risalente nel tempo) attribuisce alla tardiva contestazione disciplinare carattere sostanziale alla stessa stregua di un elemento costitutivo del licenziamento, l’altro invece rifiuta tale impostazione. La tutela reale viene accordata solo dall’orientamento citato per primo. Dinanzi a tale “dilemma” la Suprema Corte riunita nel suo massimo consesso, ha ritenuto condivisibile la tesi prospettata dal ricorrente ovvero che il ragguardevole ritardo (ergo l’inerzia, condotta inattiva), insieme al consapevole affidamento al lavoratore di mansioni di rilevante fiducia dopo la scoperta del fatto illecito (condotta attiva) lungi dal doversi presumere/qualificare una rinunzia all’esercizio potestativo del recesso siano piuttosto assimilabili ad una forma d’inadempimento datoriale che attinge a norme comportamentali di carattere generali e più in particolare a quelle della correttezza e della buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.) che, come risaputo, presidiano il contratto in ogni sua fase. In sostanza, escluso che possa versarsi in un’ipotesi di atto negoziale concludente, il ritardo in parola viene ricondotto nell’alveo dei meri vizi procedimentali.

Posta in questi termini la questione, la Suprema Corte, sposa la tesi del ricorrente ovvero quella che sia necessario attenersi scrupolosamente alla lettera della legge. Ciò in base a due rilievi, in primis che tale tipologia di ritardo non sia stata specificatamente prevista dal legislatore all’interno delle ipotesi normative che conducono alla reintegrazione nel posto di lavoro e poi che la tutela di cui all’art. 18 comma 6, della Legge 300/1970 nella formulazione post. L. Fornero assorba ogni genere di violazione del procedimento disciplinare ivi inclusa quella in parola. Dal comma 4 dello stesso articolo si apprende inoltre che la tutela reale spetti comunque, sia in caso d’insussistenza del fatto contestato che di sussistenza di una previsione sanzionatoria ad hoc da parte dei CCNL o dei codici disciplinari di riferimento.

In conclusione la sentenza de quo viene parzialmente cassata conformemente all’accoglimento del terzo motivo di ricorso della Banca MPS e la causa viene rinviata alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione, la quale nella valutazione del caso dovrà attenersi al seguente principio di diritto:

“La dichiarazione giudiziale di risoluzione del licenziamento disciplinare conseguente all’accertamento di un ritardo notevole e non giustificato della contestazione dell’addebito posto a base dello stesso provvedimento di recesso, ricadente ratione temporis nella disciplina della L. 300 del 1970, art. 18 così come modificato dalla L. 28 giugno 2012 n. 92, art. 1, comma 42 comporta l’applicazione della sanzione dell’indennità come prevista dalla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5”.

A prescindere da ogni altra considerazione, non si può fare a meno di osservare subito, che privilegiando un’interpretazione strettamente letterale (senza adattamenti), talvolta si finisce con il perdere di vista il piano concreto e quindi gli eventuali risvolti patologici che ne potrebbero derivare.

*Di prossima pubblicazione su “Lavoro e Previdenza Oggi” (www.lpo.it)

Michele Diana

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