È NULLO AI SENSI DELL’art. 18, 1° COMMA STAT. LAV. IL LICENZIAMENTO DELLA LAVORATRICE MADRE INTIMATO PRIMA DEL COMPIMENTO DELL’ANNO DI ETA’ DEL BAMBINO E AD EFFICACIA DIFFERITA ALLO SCADERE DEL PERIODO DI PUERPERIO – Tribunale di Tivoli, 9 giugno 2014 (ord.), est. Mariscotti

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Il licenziamento, anche se differito ad un momento successivo al compimento di un anno di età del bambino, è lesivo delle norme a tutela della maternità ex art. 54, d.lgs. 151/2001

Con ordinanza del 9 giugno 2014, il Tribunale di Tivoli, in accoglimento del ricorso ex art. 1, co. 47, L. 92/2012, di impugnazione del licenziamento intimato ad una lavoratrice madre durante il periodo di puerperio e ad efficacia differita ad un momento successivo al compimento di un anno di età della figlia, ha condannato la società datrice di lavoro alla reintegrazione della ricorrente nel posto di lavoro ed al pagamento di un’indennità pari alle retribuzioni maturate dalla data del recesso all’effettiva reintegra, ai sensi dell’art. 18, commi 1 e 2 Stat. lav.

Infatti, l’art. 54 del d.lgs. n. 151/2001, laddove «sancisce il divieto di licenziamento per le lavoratrici madri fino al compimento dell’anno di età del figlio», non distinguendo «tra intimazione ed efficacia» dello  stesso, non consentirebbe di ritenere legittimo un licenziamento ad efficacia differita ad un momento successivo allo spirare del periodo di puerperio.

Deporrebbe in tal senso, oltre alla ratio stessa della norma, volta a tutelare la serenità della lavoratrice madre, altresì la circostanza che «un divieto che comportasse un mero differimento dell’efficacia del licenziamento anziché la radicale nullità del medesimo sarebbe certamente stato insufficiente a garantire la lavoratrice madre perché anche ove gli effetti del licenziamento fossero differiti nel tempo, la mera intimazione del licenziamento prospetterebbe già alla lavoratrice la certezza del venir meno del reddito personale incidendo anche pesantemente sulla salute e le condizioni della donna nonché, di riflesso, della bambina».

Parimenti, non potrebbero comportare il venir meno del suddetto divieto nemmeno la «grave crisi aziendale» e la «drastica riduzione dell’attività», invocate dalla convenuta a sostegno della legittimità dell’intimato recesso, atteso che la deroga prevista dall’art. 54, comma terzo, lett. b) del suindicato testo unico a tutela della maternità, insuscettibile di interpretazione estensiva o analogica, «deve intendersi nel senso che il licenziamento è possibile anche nel caso di cessazione dell’attività del reparto cui è addetta la lavoratrice madre, sempre che il reparto abbia autonomia funzionale, ed a condizione che il datore di lavoro assolva all’onere probatorio … circa l’impossibilità di utilizzare la lavoratrice presso altri reparti dell’azienda».

Alla luce del suesposto principio, pertanto, è solo in presenza dell’ipotesi di “cessazione dell’attività” che verrebbe meno il divieto predisposto dall’ordinamento a tutela della maternità, potendo tali deroghe operare esclusivamente nelle ipotesi tassativamente previste dalla legge.

A cura di Elena Giorgi

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