DIRETTIVA 1999/70/CE E CONTRATTI DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO NEL SETTORE DELLA SANITÀ PUBBLICA: IL “MALE ENDEMICO” DEL SERVIZIO SANITARIO MADRILENO – Corte di giustizia dell’unione europea, Sezione X, 14 settembre 2016, n. 16/15, pres. Borg Barthet, rel. Biltgen

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La clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che compare in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa osta a che una normativa nazionale, quale quella oggetto del procedimento principale, sia applicata dalle autorità dello Stato membro interessato in modo tale che il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi, nel settore pubblico sanitario, sia considerato giustificato da “ragioni obiettive” ai sensi di tale clausola poiché detti contratti sono basati su disposizioni di legge che consentono il rinnovo per assicurare la prestazione di specifici servizi di natura temporanea, congiunturale o straordinaria, mentre, in realtà, tali esigenze sono permanenti e durature.
Contratto di lavoro a tempo determinato – sanità pubblica – campo di applicazione della Direttiva 99/70/CE – misure di prevenzione negli abusi di successione dei contratti a termine – esigenze permanenti e durature della pubblica amministrazione – misure sanzionatorie sufficientemente energiche, proporzionate e dissuasive
Direttiva 99/70/CE – Clausola 5, punto 1, accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato
La sig.ra Pérez Lòpez veniva assunta in qualità di infermiera presso l’ospedale universitario di Madrid inizialmente per il periodo intercorrente dal 5 febbraio al 31 luglio 2009. La nomina indicava come causa giustificativa la realizzazione di specifici servizi di natura temporanea, congiunturale o straordinaria e le mansioni della lavoratrice venivano descritte come l’espletamento delle attività infermieristiche presso il presidio ospedaliero al fine di garantire il servizio sanitario. Al termine del primo contratto di lavoro, il rapporto veniva riconfermato più volte mediante ulteriori contratti a termine così che la prestazione di lavoro della dipendete diveniva ininterrotta dal 5 febbraio 2009 al 31 marzo 2013.
Nel corso dell’ultimo dei contratti di lavoro, il Ministero regionale dell’Economia e delle Finanze di Madrid emanava un ordinanza con la quale imponeva alle amministrazioni, al fine di ridurre la spesa pubblica, la cessazione, alla data di scadenza delle nomine in corso, dei rapporti di lavoro intrattenuti con il personale reclutato occasionalmente disponendo, tra l’altro, la liquidazione di ogni emolumento in favore degli stessi correlato ai pregressi rapporti di lavoro. Per l’effetto di tale ordinanza anche la sig.ra Pérez Lòpez veniva informata dell’imminente cessazione del proprio rapporto di lavoro. Cionondimeno, dieci giorni prima che scadesse il termine dell’ultimo contratto di lavoro, l’ente ospedaliero comunicava alla lavoratrice un’ulteriore nomina per altri tre mesi.
Ritenuti lesi i propri diritti la sig.ra Pérez López presentava, poco dopo un mese dall’inizio del contratto di lavoro stipulato da ultimo con il servizio sanitario, dapprima ricorso gerarchico avverso l’ordinanza di cessazione del rapporto di lavoro e la nuova nomina e successivamente ricorso giurisdizionale innanzi al tribunale amministrativo n. 4 di Madrid. A sostegno dell’azione giudiziaria la lavoratrice adduceva che le sue nomine non avevano quale scopo quello di rispondere ad un effettivo bisogno congiunturale o straordinario del servizio sanitario ma erano volte in realtà a sopperire ad un’attività permanente dell’ente ospedaliero, per cui la successione dei propri contratti a termine concretizzava di fatto una frode alla legge che doveva dar luogo ad una riqualificazione del proprio rapporto lavorativo.
L’Autorità giudiziaria adita, dubitando della conformità della normativa interna a quella comunitaria, sollevava quindi domanda di pronuncia pregiudiziale, ai sensi dell’art. 267 TFUE, innanzi alla Corte di Giustizia UE relativamente all’interpretazione delle clausole da 3 a 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla HYPERLINK “javascript:kernel.go(‘bd’,%7bmask:’main’,opera:’07’,id:’07LX0000202490′,key:’07LX0000202490′,%20callerTicket:%20”,%20userKey:%20”,_menu:’giuri’,kind:”%7d)” direttiva 1999/70/CE.
E nello specifico, relativamente al divieto di abuso di cui alla clausola 5 dell’accordo quadro, secondo il giudice del rinvio la legislazione spagnola, ed in particolare l’art. 9 della Ley 55/03, recante lo statuto quadro del personale con inquadramento statutario dei servizi sanitari, non prevedendo misure che limitano in modo effettivo l’utilizzo di una successione di contratti a tempo determinato risulterebbe non del tutto conforme con le previsioni della direttiva comunitario.
Ebbene, la Corte di Lussemburgo, dopo aver preliminarmente precisato come anche i contratti di lavoro a tempo determinato nel settore sanitario pubblico rientrano nel campo di applicazione dell’accordo quadro in quanto il medesimo trova applicazione ad ogni tipologia di contratti di lavoro a termine, senza distinzione alcuna circa la natura pubblica o privata del datore di lavoro, con la pronuncia oggetto di disamina ribadisce alcuni capisaldi della propria giurisprudenza in materia di contratti di lavoro a termine. Ed invero, gli eurogiudici nella pronuncia in commento puntualizzano nuovamente che il beneficio della stabilità dell’impiego è inteso come un elemento portante della tutela dei lavoratori e soltanto in alcune circostanze i contratti di lavoro a tempo determinato sono atti a rispondere alle esigenze sia dei datori di lavoro sia dei lavoratori. A tal fine, la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro impone agli Stati membri, per prevenire l’utilizzo abusivo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, l’adozione effettiva e vincolante di almeno una delle misure che essa elenca, qualora il loro diritto interno non contenga norme equivalenti. Gli Stati membri dispongono dunque di ampia discrezionalità circa tale scelta tant’è che la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro assegna ai legislatori nazionali più che altro un obiettivo generale consistente nella prevenzione degli abusi.
In merito alle sanzioni comminabili, fermo restando che le misure afflittive non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza) né rendere impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti dell’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività), nei casi di abuso di cui alla clausola 5 dell’accordo quadro la Corte di Giustizia UE, riaffermando quanto già precisato nelle “nostrane” sentenze Fiamingo e Mascolo, puntualizza nuovamente come sia di esclusiva competenza delle autorità nazionali adottare misure sanzionatorie non solo dissuasive e proporzionate all’entità dell’abuso eventualmente riscontrato ma ancor prima “sufficientemente energiche” al fine di “punire debitamente” l’illecito lavoristico e cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione.
Ed ancora, precisa la Corte con la sentenza oggetto del presente commento, dopo aver premesso come competa comunque al giudice nazionale valutare in che misura i presupposti per l’applicazione e l’effettiva attuazione delle disposizioni rilevanti del diritto interno costituiscono una misura adeguata per prevenire e, se del caso, punire l’uso abusivo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, come spetti alla stessa la possibilità, nel pronunciarsi su un rinvio pregiudiziale, di fornire puntualizzazioni dettagliate volte a guidare il giudice interno nel suo compito. Ed in tale ottica, la Corte di Giustizia osserva, relativamente alla quaestio iuris sottoposta alla sua attenzione, come la nozione di “ragione obiettiva” debba essere interpretata nel senso che essa si riferisce a circostanze precise e concrete che caratterizzano una data attività e che dunque giustificano la successione di rapporti a termine per quel caso determinato. Da ciò ne discende in linea generale che una normativa nazionale che si limiti ad autorizzare universalmente ed astrattamente in virtù di una mera previsione legislativa e/o regolamentare una successione di rinnovi di contratti a tempo determinato, non prevedendo criteri oggettivi e trasparenti al fine di verificare se tali rinnovi rispondano concretamente ad esigenze reali, non risulterebbe compatibile con lo scopo dell’accordo quadro in quanto potrebbe causare l’effettivo insorgere di un “rischio” concreto che la successione dei rapporti a termine abbia di fatto natura illecita. Ciononostante, ribadendo quanto già specificato in altre pronunce gli eurogiudici hanno ulteriormente precisato che le sostituzioni temporanee di personale al fine di soddisfare le esigenze provvisorie del datore di lavoro in termini di personale può costituire essa stessa una ragione obiettiva ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a) dell’accordo quadro e ciò ancor più pacificamente ove le sostituzioni abbiano luogo in amministrazioni, come la sanità e l’istruzione pubblica, che dispongono di un organico significativo dove appunto le sostituzioni divengono “inevitabili” stante le fisiologiche assenze dei dipendenti che beneficiano dei congedi di maternità, malattia o parentali. Non sfugge alla Corte di Lussemburgo come sia comunque peculiare del servizio sanitario pubblico il bisogno assiduo di godere di ampi margini di flessibilità nell’organizzazione della forza lavoro in ragione dell’obbligo gravante sul medesimo di organizzare i servizi sanitari al fine di assicurare un costante adeguamento tra il numero dei membri del personale assistenziale ed il numero dei pazienti, e come tale peculiarità assurga a “ragione obiettiva” ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a) dell’accordo quadro. La Corte, di contro, precisa però come in nessun caso si possa ammettere che contratti di lavoro a tempo determinato possano essere rinnovati per la realizzazione, in modo permanete e duraturo, di compiti nel servizio sanitario che appartengano alla normale attività del servizio ospedaliero ordinario ostandovi a riguardo la premessa stessa su cui poggia l’intero accordo quadro, ovverosia la natura di “forma comune” propria dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Per cui, docet Mascolo, l’osservanza della clausola 5, punto 1, lettera a) dell’accordo quadro esige che sia verificato concretamente che il rinnovo di successivi contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato miri a soddisfare esigenze provvisorie, e che una disposizione nazionale non sia utilizzata, di fatto, per soddisfare esigenze permanenti e durature del datore di lavoro in materia di personale. In definitiva, gli eurogiudici concludono sul punto affermando che “la clausola 5, punto 1, lettera a) dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa osta a che una normativa nazionale sia applicata dalle autorità dello Stato membro interessato in modo tale che il rinnovo di contratti a tempo determinato successivi, nel settore pubblico sanitario, sia considerato giustificato da “ragioni obiettive” ai sensi di tale clausola poiché detti contratti sono basati su disposizioni di legge che consentono il rinnovo per assicurare la prestazione di specifici servizi di natura temporanea, congiunturale e straordinaria mentre, in realtà, tali esigenze sono permanenti e durature”.

Vincenzo Salvaggio

*Di prossima pubblicazione su “Lavoro e previdenza oggi” (www.lpo.it)

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