CONVIVENZA “MORE UXORIO” E PENSIONE DI REVERSIBILITÀ – Tribunale di Roma, sent., 22 dicembre 2015, n. 11298, est. Sordi

giudici di spalle

Il diritto del superstite a percepire dall’ente pubblico una quota del trattamento pensionistico di cui godeva in vita il coniuge defunto si fonda solo ed esclusivamente sulla previa assunzione di un reciproco e stabile obbligo di assistenza.

Previdenza e assistenza – Istituto Nazionale di Previdenza dei giornalisti italiani (Inpgi) – pensione ai superstiti – convivenza more uxorio – beneficio non estendibile

Art. 16, Dichiarazione universale dei diritti umani; artt. 8 e 14, Convenzione europea dei diritti dell’uomo; Direttiva 2000/78/CE; art. 2, 3, 29 e 117 Cost.; art. 13, r.d.l., 14.4.1939, n. 636; d.lgs., 9.7.2003, n. 216.

Nel caso in esame, la ricorrente chiedeva il riconoscimento del diritto al trattamento di reversibilità relativo alla pensione – erogata dall’Inpgi – già goduta dal compagno deceduto, con il quale aveva convissuto per circa trent’anni.
Tale richiesta muoveva dall’assunto che l’art. 13, r.d.l. n. 636 del 1939 fosse in contrasto con gli art. 2, 3, 29 e 117 della Costituzione, con gli artt. 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, con l’art. 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e con la Direttiva del Consiglio d’Europa n. 78 del 2000, recepita nell’ordinamento italiano con il d.lgs. n. 216 del 2003. A giudizio della ricorrente, infatti, la disciplina della pensione ai superstiti, di cui all’art. 13, r.d.l. 636/1939, non includendo le persone conviventi more uxorio tra i beneficiari del trattamento, opererebbe una discriminazione di queste rispetto alle persone sposate.
Il Tribunale di Roma non ha condiviso tale assunto e ha respinto la richiesta, sottolineando che non vi è una perfetta analogia tra la famiglia fondata sul matrimonio e la convivenza, seppure prolungata, tra due persone. Solo nel primo caso viene solennemente assunto l’impegno di dare vita a un rapporto di stabile convivenza e reciproco aiuto come marito e moglie. I coniugi hanno l’obbligo di assistersi materialmente l’un l’altro ed è in base a tale vincolo giuridico, gravante sul titolare della pensione, che si fonda il diritto del superstite a percepire dall’ente pubblico una quota del trattamento pensionistico di cui godeva in vita il coniuge defunto. Non rileva, inoltre, la eventuale breve durata del matrimonio.
La ricorrente stessa ha continuato a beneficiare del trattamento pensionistico ai superstiti relativo al suo ex coniuge anche durante la convivenza more uxorio con il successivo compagno. Questo perché la convivenza di fatto non le avrebbe garantito la stabile assistenza materiale venuta meno in seguito al decesso del marito. Al contrario, nel caso avesse contratto matrimonio con il compagno, l’erogazione della pensione ai superstiti sarebbe cessata in ragione del fatto che sarebbe stato il nuovo marito ad assumere l’obbligo di garantire tale assistenza.
Vista la diversità strutturale tra famiglia fondata sul matrimonio e famiglia di fatto, come sopra illustrato, il Tribunale di Roma ha considerato giustificata la diversità di trattamento nei due casi e, di conseguenza, non ha ravvisato alcun contrasto con l’art. 3 della Costituzione.
Inoltre, pur riconoscendo che la famiglia di fatto rientra nelle formazioni sociali di cui all’art. 2 Cost., ed è meritevole di tutela, non ha riconosciuto l’equiparazione giuridica tra questa e la famiglia fondata sul matrimonio, cui la Costituzione conferisce un diverso rilievo, come si evince dal tenore dell’art. 29 Cost.
Infatti, una è caratterizzata da maggiori vincoli e maggiori garanzie, l’altra da maggiore libertà e minori garanzie. L’ordinamento giuridico italiano lascia l’individuo libero di scegliere il modello di famiglia, o di formazione sociale, dove svolgere la propria personalità e quindi realizzarsi. Di conseguenza, se, liberamente, non si intende assumere l’impegno a uno stabile obbligo di sostentamento del partner attraverso il matrimonio, non si può poi pretendere, in caso di decesso, che sia lo Stato a farsi carico di quell’obbligo che non si è voluto assumere.
Il Tribunale di Roma ha ritenuto infondato anche l’asserito contrasto tra ordinamento interno e ordinamento sovranazionale, con conseguente violazione dell’art. 117, comma 1, Cost.
La ricorrente aveva richiamato alcuni principi in materia di parità di trattamento e di divieto di atti discriminatori enunciati dalla Dichiarazione universale dei diritti umani (art. 16), dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (artt. 8 e 14) e dalla Direttiva 2000/78/CE. Nello specifico aveva menzionato due sentenze della Corte di Giustizia UE, la C-267/2006 e la C-147/2008, applicative di tali principi. Tuttavia, anche tali argomentazioni non sono state ritenute valide perché le situazioni prospettate alle corti internazionali riguardavano coppie composte da persone dello stesso sesso unite da specifici istituti riconosciuti e registrati. Si trattava delle “unioni solidali”, o “unioni civili registrate”, previste dall’ordinamento tedesco. Questi istituti – alla stregua delle “unioni civili” introdotte proprio in questi giorni nell’ordinamento italiano (n.d.r.) – sono riservati a persone dello stesso sesso e prevedono l’assunzione di responsabilità reciproche e obbligo di soccorso e assistenza tra i partner, in modo del tutto analogo a quanto previsto in caso di matrimonio. In questi casi, non è dunque giustificato un diverso trattamento tra componenti di una tale unione e persone unite in matrimonio. Ma differente è la situazione delle coppie di fatto che liberamente hanno deciso di non sposarsi (o non unirsi civilmente) e non assumere determinati obblighi. La ricorrente aveva anche menzionato due sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo (rispettivamente del 19.2.2013 e del 24.6.2010). Ma la prima delle due sentenze riguardava una discriminazione tra coppie di fatto eterosessuali e coppie di fatto omosessuali e non tra coppie di fatto e coppie sposate, mentre la seconda riguardava il diritto di sposarsi per due persone omosessuali. Ancora una volta, quindi, situazioni diverse da quella in esame.
Il Tribunale di Roma ha, infine, ricordato che la giurisprudenza di Cassazione, ha riconosciuto rilevanza alla famiglia di fatto sotto vari profili (ad es. in relazione ai figli, alla casa di abitazione, risarcimento del danno, ecc.), ma non ha mai equiparato la convivenza more uxorio e il matrimonio per quanto concerne i diritti che presuppongono un impegno alla stabile convivenza e alla reciproca assistenza.
Pertanto, non ha ritenuto di dover sottoporre alla Corte costituzionale la questione di legittimità dell’art. 13, r.d.l. n. 636/1939 – tra l’altro già dichiarata infondata dalla stessa Corte con sentenza 3.11.2000, n. 461 – e ha rigettato il ricorso.

Federica Aramini

Related News

Leave a reply